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Dopo un lungo e complesso percorso riabilitativo durato ben cinque anni, Seiji Federico ha lasciato il Polo Riabilitativo “Don Gnocchi” all’ospedale Criscuoli di Sant’Angelo dei Lombardi (Av). Seiji è uno di quei pazienti che gli operatori non dimenticano, non solo per il tempo trascorso nella struttura ma anche per la personalità speciale e complessa, per il carattere mite e forte di uomo intelligente e testardo, sensibile e deciso, introverso e curioso della vita.
Di origine giapponese, in Italia da anni per lavoro e senza familiari, Seiji era giunto al Polo di S. Angelo dei Lombardi a seguito di una grave emorragia cerebrale dopo una brutta caduta che lo aveva reso quasi cieco. In breve tempo è diventato il paziente di tutti. Non c’è stato fisioterapista che non abbia contribuito al suo recupero, infermiere e OSS che non lo abbiano assistito e accudito e medico che non lo abbia curato. Così è stato anche per i volontari che lo hanno coccolato, gli hanno donato affetto, garantendogli tutto il necessario per rendere la sua permanenza il più confortevole possibile, dagli abiti alla biancheria, dalle felpe ai suoi amati e tanto richiesti berretti che lo aiutavano a stare caldo, anche in estate.
In questi anni, il Centro è stata la sua casa e gli operatori e i volontari la sua famiglia. In questo lungo periodo, con un viaggio interiore in un momento difficile della sua vita, Seiji ha anche maturato la decisione e la scelta di convertirsi al cristianesimo. Così, due anni fa (nella foto sotto) in un giorno speciale, il cappellano padre Jonathan, su delega dell’arcivescovo, gli ha somministrato i sacramenti del Battesimo, Eucarestia e Cresima, conferendogli il nome di Federico, nome da lui stesso desiderato.
Carmelina Ioanna, sua prima fisioterapista, ricorda l’emozione provata durante la cerimonia: «Sono stata la sua prima fisioterapista, anche nel periodo triste della pandemia. Tra noi si è instaurato subito un rapporto di fiducia ed empatia tanto che, quando ha deciso di voler ricevere i sacramenti, mi ha chiesto di accompagnarlo nel suo percorso di conversione e di fargli da madrina; è stato un momento che non dimenticherò mai…». Aggiunge Mauro Losco, suo fisioterapista negli ultimi mesi prima della dimissione: «Ho nel cuore il ricordo della sua pacatezza, eleganza ed educazione, tipici della sua cultura orientale».
«Quando penso a Seiji mi vengono in mente soprattutto tre cose - racconta Tommaso Cibellis, medico fisiatra che lo ha seguito nella riabilitazione -. La prima è la parola aiuto pronunciata spesso, ad alta voce, a scandire i pomeriggi di insolita quiete in reparto; era una richiesta di aiuto particolare, per alcuni aspetti anche simpatica, perché rappresentava un suo modo per ricevere uno spuntino oppure una merenda. La seconda cosa che mi ha colpito è il distacco progressivo che un uomo di sessant’anni ha vissuto e sofferto da un grande Paese come il Giappone perché, pur adattandosi ai ritmi diversi e alle tradizioni italiane, non ha mai nascosto il forte legame con le proprie radici. Seiji mi ha insegnato che, per quanto possa essere avvincente ed emozionante viaggiare e scoprire nuove culture, rimane indelebile il legame con le proprie origini, soprattutto una patologia estremamente invalidante costringe all’immobilità e fa perdere anche gli affetti più cari. Infine, per me Seiji è stato un ricovero speciale perché, cinque anni fa, quando da poco avevo iniziato la mia avventura da medico nel reparto di Riabilitazione Neuromotoria, è stato il primo paziente che ho accolto».
«Con Seiji abbiamo realizzato, ancor più, un modello di umanizzazione delle cure, in cui non bastano l’opera, la formazione e la disponibilità di un singolo medico o operatore ma è importantissima l’opera di tutta l’équipe e non solo, affinché la degenza sia più confortevole e il recupero più efficace possibile per i nostri pazienti. È fondamentale – spiega Biagio Campana, medico responsabile di struttura - che accoglienza, ascolto, empatia, fiducia e coscienza siano parte integrante di ciascuno all’interno dell’organizzazione, a maggior ragione se si considerano le sfide e le tante difficoltà che quotidianamente si possono presentare nei reparti».
Il saluto dell'équipe del Polo Specialistico irpino il giorno delle dimissioni di Seiji Federico
«La cura è un’arte e per essere tale richiede certamente competenza ma anche dedizione per farsi carico del paziente e far sì che non si senta solo un numero e non perda mai la percezione di essere una persona accolta e di sentirsi a casa – conclude Rita Mosca, coordinatrice dell’area riabilitativa -. Spesso i pazienti hanno vissuto qualcosa che li ha cambiati per sempre e questo non possiamo dimenticarlo. Come ci ricorda don Carlo Gnocchi, il prendersi cura significa guardare al paziente nella sua totalità, curare tutti gli aspetti della persona, il lato fisico, psicologico, le emozioni e si esprime attraverso la premura, il sostegno, la soddisfazione di bisogni. È quel qualcosa in più, che va ben oltre l’intervento medico o riabilitativo, è far capire che, soprattutto quando si è malati, si è uomini e donne compresi nella dignità e meritevoli di considerazione e di riguardo. Perché loro, gli ammalati, non dimenticheranno mai come li abbiamo fatti sentire. I nostri reparti si riempiono quotidianamente di pazienti che, con le loro storie, come quella di Seiji, costruiscono la storia stessa dei Centri. Storie di solitudine, di fragilità, di amore, di accoglienza, di compassione, come a dipingere un quadro che si arricchisce ogni giorno di dettagli, di nuovi colori, di ombre e di luci che lo rendono sempre più affascinante e meravigliosamente un’opera d’arte».
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