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di Vincenzo Barbante
presidente Fondazione Don Gnocchi
Natale: una grazia, un dono che si ripete. Francamente siamo sempre un po’ tutti sopresi che sia già di nuovo Natale. Per i credenti il calendario liturgico, che scandisce con le sue celebrazioni il tempo della Chiesa, ha da giorni introdotto i fedeli, con il cammino di Avvento, al progressivo avvicinamento all’evento: la nascita di Gesù, il Figlio di Dio. Da alcuni anni si manifesta l’urgenza di rimarcare il copyright religioso di questa festa, ormai asservita dalla globalizzazione ai più disparati interessi.
Anche i più distratti e indifferenti non possono sottrarsi al contagio: l’evento arriva con colori e le luci delle strade, delle finestre e dei balconi, degli alberi addobbati, con la sua pubblicità martellante. All’attesa carica di emozione soprattutto dei più piccoli si affianca l’ansia di molti adulti. Altri adulti, immergendosi, proprio nello sguardo dei bambini ritornano con nostalgia al passato, ricercando nella memoria i giorni in cui la festa sapeva del calore, di affetti semplici e di magia.
Ancora una volta Natale. Ancora: a pensarci bene la ricorrenza è la stessa, ma il contesto anche quest’anno è diverso, o meglio presenta delle caratteristiche originali e contemporaneamente simili a quelli che lo hanno preceduto. La storia dell’umanità, infatti, pur nel trascorrere dei secoli, rimane sempre fedele a sé stessa. Il suo sviluppo e quello che chiamiamo progresso non hanno cancellato i limiti e le miserie che trascina da sempre con sé. Povertà, guerre, drammi, diseguaglianze, sofferenza permangono sotto gli occhi di tutti. Come non avvertire un senso di disagio e di rammarico, se non di dolore, nel celebrare questa festa. Certo per un attimo, dentro le pareti delle nostre case, immersi nel risuonare delle musiche natalizie o accolti nelle chiese luminose, possiamo dimenticare quello che la cronaca quotidiana ci presenta.
Ancora una volta è Natale. Per fortuna che Natale arriva! Sì, perché questa festa custodisce nel tempo la speranza che tutti noi portiamo nel cuore di pace e di serenità per tutti. Il Natale è un dono divino che manifesta l’immutato amore e la fiducia tenace di Dio verso l’uomo. Questo è un messaggio che siamo chiamati ad accogliere e comprendere. Ognuno di noi custodisce nel proprio cuore il desiderio che le cose cambino. Ma perché questo accada dobbiamo mettere da parte la paura e aprirci con fiducia all’altro. Senza dialogo, condivisione, solidarietà, disponibilità a lavorare insieme tutto resterà uguale. La speranza del cambiamento trova il suo fondamento nella fiducia, per chi crede fiducia in Dio e per tutti fiducia nell’uomo. C’è un altro contenuto del messaggio da cogliere: cosa mettere al centro del cambiamento? Beh, la risposta forse non è originale, ma per molti forse sì: la fragilità.
La evangelica narrazione del Natale porta con sé un’indicazione chiara: il cambiamento inizia condividendo la povertà dell’umano. Nella fragilità della carne di un bambino, in quel suo essere nato povero e in periferia, accolto dall’amore dei suoi genitori e da umili pastori, prende avvio una storia destinata a segnare il destino dell’umanità e il suo riscatto. In quella solidarietà con la fragilità umana è cambiata la relazione con Dio, di cui si è rivelato il volto inatteso, incredibilmente e, oserei dire, scandalosamente grande, grande nell’amore. Un Dio disposto a tutto per l’uomo anche a condividerne l’estrema fragilità: la sofferenza fisica, la solitudine, il tradimento e, infine, la morte.
Il Natale ci viene offerto come annuale richiamo ad aprire il cuore, a lasciarci interpellare dalla fragilità che è in noi e intorno a noi e custodire la speranza mettendoci in gioco e scegliendo di diventare protagonisti del cambiamento.
Nella ricorrenza del 120° della nascita di don Carlo Gnocchi ritroviamo la testimonianza di un uomo che, dopo aver toccato con mano l’esperienza della guerra, negli orizzonti gelidi e sconfinati della Russia, ha incarnato la sua fede evangelica, il suo essere prete, proprio nella prospettiva di realizzare un cambiamento per sé, per gli uomini e le donne del suo tempo, chinandosi sulla fragilità. La sua carriera ha trovato compimento nell’accogliere e curare gli invalidi di guerra, i piccoli mutilati, i bimbi colpiti dalla poliomielite… Il cammino intrapreso ha cambiato la sua vita, ma anche quella di tanti, di chi ha accolto e di chi ha condiviso la sua missione. Ed è accaduto qualcosa di straordinario. L’Opera da lui avviata, una piccola cosa, come un granello di senapa, è cresciuta nel tempo e nel tempo si offre, come altre opere ispirate dalla stessa fede, quale segno di contraddizione, come monito a percorrere come via del cambiamento quella inusuale dell’attenzione alla fragilità, alla cura di quell’umanità sempre cara a Dio, ma che il mondo trascura, emargina, ferisce con la propria superficialità.
Nella fatica quotidiana dei nostri operatori accanto a chi soffre, nel servizio gratuitamente prestato dai volontari e dai giovani del servizio civile, nel tempo certamente non meno impegnativo e travagliato speso dai nostri ricercatori scientifici, nel lavoro paziente di quanti si adoperano nei servizi e nell’amministrazione per il compiersi di questa missione, nel sostegno di tanti amici e benefattori si consuma una storia di protagonisti del cambiamento.
Ben venga, allora, il Natale dei sorrisi, degli abbracci, degli auguri e dei regali, per una umanità che gode della fraternità e che nella fragilità trova il suo comune denominatore. Il mio augurio è che il rinnovarsi di questa festa, sia l’occasione di una rinascita per tutti come protagonisti del cambiamento, testimoniando, come don Carlo, attraverso le scelte concrete e coraggiose, che il cambiamento è possibile.
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