Allestimenti suggestivi, testimonianze di ragazzi e... (Leggi tutto)
di Vincenzo Barbante
presidente Fondazione Don Gnocchi
«Se ricostruire dunque bisogna, la prima e fondamentale di tutte le ricostruzioni è quella dell’uomo». (Don Carlo Gnocchi)
In queste settimane nel nostro Paese e non solo è esplosa la voglia di normalità. Lo vediamo per le strade delle città, sulle spiagge, nei concerti all’aperto e così via. Eppure, la pandemia non è cessata. Dall’Ucraina continuano a giungere drammatiche notizie di guerra e sulle altre, di guerre intendo, è calato un preoccupante silenzio. I mali recenti si sono sommati a quelli antichi e hanno innescato nuove tensioni ed emergenze politiche, sociali ed economiche un po’ per tutta l’umanità.
Confesso che fatico a seguire le cronache dei nostri mezzi di informazione. La rincorsa allo scoop, l’ansia di ottenere audience vanno a scapito della verità. Drammi e banalità vengono costantemente miscelati. A volte ho l’impressione, per esempio, che i numeri delle vittime della pandemia o della guerra siano comunicati come i gradi delle temperature riportate in giornata nelle nostre città. È diventato un fatto “normale”, ma questa normalità sa tanto di assuefazione.
Non c’è niente di male nel desiderare la normalità. La domanda da porsi, però, è: quale normalità? È auspicabile una normalità fondata su un’etica del bene comune. La consapevolezza condivisa che quello che accade non va bene, non può risolversi in una persistente lamentela sterile e nemmeno in una muta rassegnazione: è necessario operare un cambiamento. L’obiettivo prospettato dal piano governativo di ripresa e resilienza se vuole davvero essere credibile deve puntare a realizzare il cambiamento. La ripresa non può significare un tornare a vivere e a fare quello che si faceva prima, riprendendo, appunto, da dove ci si era fermati causa Covid.
Il trauma subito può e deve rappresentare un’occasione unica per disegnare vie di sviluppo nuove in tutti gli ambiti di attività e di vita del nostro Paese e non solo. Economia e finanza, scuola, formazione e ricerca, sanità e assistenza, sono alcuni degli ambiti che debbono aprirsi a nuove progettualità. Il cambiamento deve muovere da un approccio non solo utilitaristico, ma etico e culturale fondati su basi diverse e più coerenti proprio con i principi del bene comune e della solidarietà.
Le sfide che ci attendono richiedono uno sforzo partecipato e condiviso, in termini di creatività e di coraggio, evitando derive ideologiche, o soluzioni rabberciate e di breve respiro.
Purtroppo, il rischio a cui stiamo andando incontro è quello di perdere questa occasione, e quanto sta avvenendo nell’ambito della riforma sanitaria e del welfare lascia intravvedere l’avverarsi di questo rischio. Il bene comune va ricercato con determinazione e senso di responsabilità, ponendosi autenticamente in ascolto reciproco nel valutare dati, previsioni e risorse disponibili. Nessuno può presumere di avere la soluzione in tasca, ma esistono esperienze maturate che possono essere raccolte e messe a disposizione per disegnare nuovi e più efficaci scenari capaci di dare risposte adeguate ai bisogni presenti e a quelli futuri. Il mondo della sanità e socio assistenza no profit di ispirazione cristiana può offrire molto a questo proposito. Ancora una volta ciò che dovrebbe essere davvero normale come stile di lavoro e di progettazione condivisa continua a risultare qualcosa di straordinario.
Eppure, il bene comune come dicevamo dovrebbe essere perseguito attraverso un percorso partecipato, nella consapevolezza che il punto di partenza è la condizione di fragilità, che caratterizza tutti a livello personale e di sistema, e che ogni soluzione tesa a salvaguardare interessi di parte o a promuovere soluzioni parziali è destinata al fallimento. Solo la solidarietà e il concorrere insieme verso comuni obiettivi può offrire una prospettiva valida. Di qui l’urgenza di educare l’uomo, il cittadino, alla responsabilità di partecipare con generosità a questo progetto, comprendendo che la stagione dei diritti deve coniugarsi anche con quella dei doveri, e ricondurre la politica e i partiti a servizio della comunità e non dei politici di cui portano il nome e l’effige.
«Il cittadino deve prendere viva parte diretta alla vita nazionale e al governo della cosa pubblica; non ne ha soltanto il diritto facoltativo, ma un obbligo grave e di coscienza, il medesimo che gli comanda di essere persona. Di questo egli deve convincersi e bisogna energicamente convincere il popolo italiano, il quale, nel suo costituzionale disinteresse alla vita pubblica e, per la sua naturale pigrizia, ha più volte, nella sua breve e sfortunata storia politica, consentito che il campo della cosa pubblica, lasciato incontrastatamente libero dai probi cittadini, e il governo dello Stato fossero facile preda degli incompetenti, degli ambiziosi, dei professionisti della politica o peggio dei profittatori e degli avventurieri». Così scriveva don Carlo Gnocchi nel 1946 (“Restaurazione della persona umana”), all’indomani del secondo conflitto mondiale, in tempi ben più difficili di quelli attuali.
Ripartire dalla fragilità non appartiene all’immaginario collettivo, né alla cultura del nostro tempo, in questo senso non possiamo che rilanciare l’auspicio di don Carlo quando parla di “ricostruzione dell’uomo”. Questo messaggio trova la sua radice nella proposta offerta dal Vangelo alla comunità umana per essere autenticamente tale: umana appunto. Porre la fragilità al centro del proprio esistere, per la Fondazione don Gnocchi non solo rappresenta un punto di partenza o un obiettivo, ma una consapevolezza che alimenta lo spirito creativo e le strategie di sviluppo.
Condividere la condizione di chi soffre aiuta ad immaginare soluzioni innovative e educa a lavorare insieme, a dare concretezza alla parola “rete” costruendo collaborazioni con altri enti sia a livello di ricerca scientifica che di prestazione di servizi, perché siano sempre più qualificati. È questa la normalità che vorremmo. Una normalità che sa reagire con maturità alle provocazioni, alle sfide che dalla fragilità emergono e con cui convivere senza mai assuefarsi, senza mai arrendersi, senza mai rinunciare con coraggio alla ricerca del bene.
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