Approvati e finanziati i nuovi progetti di accompagnamento... (Leggi tutto)
Il messaggio del presidente della Fondazione Don Gnocchi, don Vincenzo Barbante, nell'editoriale del numero natalizio della rivista "Missione Uomo", in distribuzione nei Centri.
Siamo arrivati alla quarta ondata di Covid. Penso all’imminente Natale con la mente carica di suggestioni e di pensieri. Non mi considero un esperto di questa pandemia. Sono solo parte di quella umanità che da oltre un anno convive con questa esperienza.
Ho scelto il termine “esperienza” non a caso. I mesi di convivenza forzata con il virus, almeno per quanto mi riguarda, sono stati motivo di profonde riflessioni. Ho preso atto di numerose situazioni, ho visto tante cose e tante ne ho sentite: alcune positive, altre meno. Ho dovuto modificare alcune delle mie consuete modalità di comportamento e di relazione con gli altri. Ho rivisitato alcune ragioni del mio esistere e del mio essere prete a servizio della Chiesa e di tutti. Sono cresciuto dentro.
Non che questo sia avvenuto senza qualche fatica. Ci sono stati tanti prezzi da pagare. Sebbene non intravveda un termine a quanto sta accadendo, posso dire di avere imparato molto.
Mentre mi accingo a stendere questo testo, penso che una comunicazione scritta possa rappresentare un‘occasione privilegiata di libertà: libertà dai condizionamenti esterni fisici e morali come il lavoro, il viaggiare, le mascherine, il green pass, il PNRR, il bombardamento speculativo dei media, la politica, le fake news…
Sì, può essere un’opportunità, per chi scrive e per chi legge, per rientrare in sé stessi e riflettere. Riflettere proprio a partire da questa esperienza per ricercare un senso a quello che abbiamo vissuto, interpretare al meglio il presente e volgere con più sapienza lo sguardo ai giorni che verranno.
Non credo di aver mai ignorato la mia fragilità, ma certamente ho acquisito ancora più chiaramente la consapevolezza di quanto ciascuno di noi sia legato e in relazione con l’intera comunità umana e quanto questo possa influire sulle nostre vite e viceversa. Per quanto il nostro io, a cui dedichiamo tanto tempo e cura, sia importante, in realtà è sempre un noi. E il noi ha sempre conseguenze sull’io, lo coinvolge.
Quello che voglio dire è che la pandemia, oltre ad aver reso evidente la comune fragilità, ha fatto emergere la necessità, ancora di più, l’obbligatorietà di affrontare la sfida in termini condivisi, di solidarietà globale. Il tempo presente e a venire necessitano di essere vissuti non solo con senso di responsabilità, ma di corresponsabilità. Appare sempre più insensato il perseguimento o la tutela di interessi personali o particolari.
E quello che vale per la lotta alla pandemia, vale anche per il futuro sviluppo sociale ed economico dell’umanità, per le politiche ambientali, per la lotta alle disuguaglianze, per la promozione e la tutela dei diritti umani...
A questa prospettiva si richiamano i numerosi interventi di Papa Francesco e in particolar la sua enciclica “Fratelli tutti”. Nei fatti, a fronte di sfide urgenti che attendono la collettività umana per l’avvenire del pianeta e, quindi, del proprio futuro, anche le recenti conferenze sul clima hanno fatto emergere gravi incoerenze e abbiamo assistito all’adozione di risoluzioni fortemente condizionate da interessi di parte o a preoccupanti rinvii.
Penso che pure in questo caso, per ragioni almeno di buon senso e non ideologiche, era auspicabile da parte di tutti un autentico spirito di corresponsabilità. Ci vuole più coraggio, più lungimiranza e certamente più consapevolezza sul fatto che siamo tutti sulla stessa barca e non potremo sopravvivere, affrontare le tempeste e giungere all’approdo se non lavorando insieme.
In questo contesto una realtà come la Fondazione Don Gnocchi, radicata nel pensiero e nel mandato di don Carlo, deve costantemente richiamare tutti all’attenzione verso coloro che più di altri incarnano la fragilità umana: i fratelli malati, giovani o anziani, con patologie debilitanti, croniche, degenerative, in condizioni sociali di particolare svantaggio o emarginazione, in solitudine...
Per noi questo tempo si fa più esigente nel chiedere di riflettere sapientemente sulla nostra missione e promuovere in tutti i contesti scientifici, politici e culturali il senso e il fine della “cura”, come “scienza della prossimità”, la ricerca di percorsi e strumenti sempre più orientati ad una presa in carico non solo delle patologie, ma dei “progetti di vita” di quanti sono in condizione di fragilità fisica o sociale e delle loro famiglie, la formazione degli operatori chiamati a mettere in gioco competenza e compassione, la valorizzazione del volontariato.
“Accanto alla vita sempre” chiede di avere uno sguardo costante e attento alle stagioni della vita e ai suoi passaggi o momenti più delicati, alle condizioni che la caratterizzano, concependo una sanità non più incentrata sull’ospedalizzazione, ma come cultura dell’accompagnamento delle fragilità che vede nella prevenzione e nella riabilitazione la vera scommessa da vincere per garantire un’assistenza personalizzata e autenticamente integrativa.
L’ospedale, per intenderci, svolge un ruolo importante in alcuni momenti della vita, ma la cura della persona riguarda tutta la vita. In questa prospettiva l’assistenza domiciliare e le strutture socio-assistenziali distribuite sul territorio prestano, grazie ai propri operatori, un servizio ineludibile e prezioso che chiede di essere meglio riconosciuto e valorizzato.
La cronaca recente ci parla di grandi piani di investimenti pubblici nelle strutture della sanità e dell’assistenza. Positivo che ci siano risorse a disposizione, ma queste devono essere impiegate bene e soprattutto impiegate correttamente per il “bene comune”. Come non temere la solita furbizia di pochi avidi speculatori o la burocrazia miope e inconcludente? Ma qui mi fermo perché il discorso si farebbe lungo.
Ritorno con il pensiero al Natale, al mistero dell’incarnazione. In quel bambino chiamato Gesù, che significa “Dio salva”, ci è consegnato il mistero di Dio. Un Dio che ama l’uomo, oltre ogni male, oltre ogni limite.
Ad ogni Natale siamo chiamati a ritrovare le ragioni della speranza, credere che la luce vincerà le tenebre e che attraverso la povertà della nostra umanità il male e la morte verranno sconfitti.
Perché questo sia possibile siamo chiamati a percorrere la via della prossimità solidale, della fraternità accogliente, del caricarci di chi soffre e di tutti i “piccoli” della terra come il buon samaritano, come Gesù.
Questa è la nostra missione, di questa cultura dobbiamo essere testimoni.
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