Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
di don Vincenzo Barbante
Mi sono domandato più volte che cosa significhi celebrare il 120° anniversario della nascita di don Gnocchi. Per dare una risposta mi sono rivolto a lui e ho riletto alcuni i suoi scritti. Mi si è parato innanzi un uomo essenziale, concreto, appassionato e, ancora di più, uno spirito libero. Libero dalla retorica delle celebrazioni e schivo rispetto all’esaltazione dei suoi meriti. Profondamente partecipe della fraterna e orgogliosa umanità dei suoi alpini e paternamente sorridente nell’abbracciare i bambini a lui affidati dalla Provvidenza. Nel mio immaginario ho colto lo svolgersi di una narrazione, quella di un uomo attratto da una vibrante sete di Dio, che ha segnato tutta la sua esistenza. «Volere o no, siamo tutti, quanti siamo uomini sulla terra, inquieti appassionati e non mai sazi cercatori della faccia di Dio».
Come non cogliere in queste parole il senso un’avventura umana vissuta intensamente fin dai suoi albori? Proviamo a comprendere lo stato d’animo del giovane Carlo nel compiere le prime scelte importanti della vita. La sofferenza patita per la perdita prematura del padre e dei due fratelli segna un tempo, condiviso con la cara madre, in cui il cuore e la mente si rivolgono incessantemente a Dio. Negli anni dell’adolescenza la ricerca si fa più determinata e proseguirà per tutta la vita con una consapevolezza: «Da Dio a Dio, ecco i termini estremi della traiettoria di ogni uomo».
La stessa consacrazione sacerdotale rappresenta per don Carlo non un approdo sicuro e confortante, quanto una risposta consapevole, che si fa scelta di vita. Nel servizio pastorale rivolto a giovani e adulti, la brillante attività di educatore si accompagna a una costante e instancabile ricerca del volto di Cristo. Per don Carlo non sembra esistere un modo “tradizionale” di essere prete. Con originalità ed entusiasmo si spende generosamente nella cura di quanti il Signore gli pone innanzi. Una cura fatta di relazioni autentiche, accompagnamento, condivisione. «Ho fatto del prossimo la mia famiglia. Solo per questo vale la pena di rinunciare, con sacrificio innegabile, a fare famiglia. Non per chiudersi egoisticamente, ma per aprirsi a tutte le necessità».
La fede in generale e ancor più quella di un sacerdote, per don Carlo è disponibilità, carità, iniziativa, coraggio, libertà. Ecco la sua esperienza di cappellano militare. Il suo stare accanto ai “ragazzi”, come lui li chiamava, si declina nel condividerne la vita quotidiana, le marce, la precarietà, i rischi, nel prestare i servizi religiosi, ma anche nell’offrire iniziative particolari come la “scuola per analfabeti” e quella di “aritmetica e conteggio”, e poi «andare su tutti i campi di battaglia dove sono i caduti del battaglione, per la identificazione delle salme. 8oo km di viaggio… È un incarico pietoso che farò con lo stesso cuore col quale lo farebbero le mamme di quei cari figliuoli…».
Nel trascorrere dei giorni, don Carlo si apre a nuove scoperte. Gli occhi si riempiono della fede e della pietà dell’umanità che lo circonda: «Attraverso le stazioni ferroviarie della Russia, per le vie delle città conquistate, lungo le fangose strade della campagna, esplode per ogni dove la fede semplice e appassionata del buon popolo russo».
«La devozione e la preghiera dell’alpino è forte e dritta... Questa gente di montagna, usa a trovare il rifugio nella tormenta e il sentiero nascosto nel bosco, sa ben orientarsi anche nell’andare a Dio. Non si perde in devozioni marginali e secondarie, mira dritto al Signore, senza lusinghe e senza dubbiezze».
In questo contesto la ricerca si fa più insistente e profonda. «Ho sempre cercato le vestigia del Cristo sulla terra, con avida e insistente speranza. E mi era parso veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi, nel pallido e stanco sorriso dei vecchi, nel discorso dolente e uguale dei poveri e degli affamati e nel crepuscolo fatale dei morenti…».
Ed ecco finalmente l’incontro.
«Era un ferito grave e già presso a morire. Quando gli tolsero, devotamente, la giubba, apparve la veste atroce e gioconda del sangue, che fasciava e rendeva brillanti le membra vigorose. Senza parlare mi guardò. I suoi occhi erano colmi di dolore e di pietà, di volontà decisa e di dolcezza infantile. Al fondo vi tremava, attenuandosi la luce di visioni beate e lontane, come di bimbo che si addormenta a poco a poco. Non altrimenti dovette guardare Gesù dall’alto della croce». «Da quel giorno, la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale di ogni uomo percosso e denudato dal dolore».
“L’inquieto cercatore di Dio” diviene “coraggioso cercatore dell’uomo”, come disse il cardinale Tettamanzi nell’omelia della Beatificazione, «che ha consumato la sua vita nella ricerca del volto di Cristo impresso nel volto di ogni uomo».
«Sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me lo vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i Suoi poveri. Ecco la mia “carriera”».
La ricorrenza del 120° anniversario della nascita di don Carlo è un’occasione preziosa per riabbracciare la sua testimonianza umana e cristiana, ritrovare le radici del suo amore per le persone più deboli come via per realizzare pienamente una vita ricca di significato e, per quanti ne hanno raccolto l’eredità, perseverare ogni giorno nel coniugare la propria attività con “competenza e compassione”, perché ogni struttura sia “casa di speranza” come ci ha esortato ad essere Papa Francesco dell’udienza concessa alla Fondazione Don Gnocchi e a tutti i suoi assistiti, collaboratori e amici nel 2019.
A tutti noi don Carlo mostra la via per realizzare quanto dice Gesù agli operatori di misericordia: «È questo che ti rende e renderà sempre più vicino a Dio, perché Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono e hanno bisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo, e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente, non comanda altro. Tutto il resto viene dopo e vien da sé».
(dall'editoriale della rivista "Missione Uomo", ottobre 2022)
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