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La solenne celebrazione eucaristica dello scorso 22 ottobre nel Duomo di Milano, presieduta dall’Arcivescovo monsignor Mario Delpini, ha rappresentato l’avvio delle celebrazioni per il centoventesimo anniversario della nascita del beato don Carlo Gnocchi e i primi settant’anni di attività dell’Opera oggi a lui intitolata.
Tra i numerosissimi fedeli presenti nel Duomo il 22 ottobre – insieme ai responsabili della Fondazione, operatori, pazienti e familiari provenienti da numerosi Centri “Don Gnocchi” oggi attivi nel Paese, guidati dal presidente don Vincenzo Barbante, dai direttori generale e scientifico, Francesco Converti ed Eugenio Guglielmelli - c’erano i rappresentanti delle più importanti istituzioni civili e militari, delle principali sezioni e gruppi alpini, dell’Aido e dell’Associazione degli Ex Allievi, insieme a tanti amici dell’Opera di don Carlo.
Con il corollario degli stendardi di tante associazioni, dei gonfaloni delle massime realtà territoriali e di labari carichi di medaglie, si è registrata la presenza tra gli altri di alti ufficiali delle truppe alpine, tra cui il generale Massimo Panizzi, membro della Rappresentanza militare italiana presso la Nato, il generale Massimiliano Cigolini, comandante del 5° alpini Julia, e il colonnello David Colussi, vicecomandante dell’8° Reggimento alpini, da anni gemellato con la Fondazione. Importante anche la rappresentanza dell’associazionismo (a partire dall’Associazione nazionale alpini e dalla Croce Rossa), del mondo sanitario, di quello della ricerca e accademico, con le presenze, tra gli altri, di Maria Chiara Carrozza, presidente del CNR, e di Elio Franzini, rettore dell’Università degli Studi di Milano.
E poi le autorità civili, a partire dai rappresentanti della Regione Lombardia - l’assessore Stefano Bolognini e il vicepresidente del Consiglio regionale, Carlo Borghetti -, del Comune di Milano, presente con Roberta Osculati, vicepresidente del Consiglio comunale, e una quindicina di Sindaci o rappresentanti di Comuni grandi e piccoli, a partire da San Colombano al Lambro – paese natale di don Carlo – fino a Sesto San Giovanni, Malnate, Rovato, Bollate, Melzo, Canegrate, Arosio, Besana Brianza, Inverigo, Pessano con Bornago e altri ancora.
Tra i venti concelebranti - oltre naturalmente a don Vincenzo Barbante e al presidente onorario della Fondazione, monsignor Angelo Bazzari, incaricato dell’Arcivescovo per la custodia e la diffusione della memoria del beato -, presenti sull’altare del Duomo anche monsignor Carlo Azzimonti (vicario episcopale della Zona I), don Maurizio Rivolta (rettore del Santuario dedicato a don Gnocchi), i cappellani della Fondazione e don Mauro Santoro, responsabile della Consulta diocesana per la Disabilità.
Pubblichiamo di seguito il testo dell'Omelia pronunciata dall'Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini.
Le sofferenze del tempo presente (Rm 8,18) spingono verso abissi insondabili, tenebre spaventose. L’immensa tragedia che gli alpini hanno vissuto nel gelo dell’inverno russo ha stremato i corpi e le anime. Ha spinto don Carlo Gnocchi e i suoi compagni di sventura fino all’estremo.
Don Carlo scrive: «A quali estremi può essere spinto l’uomo da così grave iattura e da così spietata condizioni di cose? Può darsi condizioni più disperante e più umiliante di quella che viene dall’impossibilità di soccorrere, dal non aver più una benda per un ferito, la forza di stendere la mano a un congelato che si trascina carponi dietro la colonna, un po’ d’acqua per un morente, un pezzo di pane per un estenuato – peggio ancora – del non aver neppure la facoltà di commuoversi e di soffrire. Chi può dire, se nella vita non l’abbia provato, il terrore che viene dal veder l’anima propria perdere mano a mano il potere di consentire al dolore, al pericolo e alla morte? Nulla è più agghiacciante di questo impietrimento e quasi morte interiore, sotto i colpi troppo gravi e reiterati della sventura, della fame, della stanchezza e del sonno» (Carlo Gnocchi, "Cristo con gli alpini").
Di fronte al soffrire, di fronte alla tragedia enorme ogni discorso sa di letteratura e ogni domanda sembra un lusso di chi ha ancora una riserva di respiro, un lume acceso.
Ci sono uomini che sono stati laggiù nell’abisso spaventoso.
Ci sono uomini e donne che oggi sono trascinati giù nell’abisso del disumano dai colpi troppo gravi della sventura.
Il beato Carlo Gnocchi, cappellano degli alpini, partecipe della tragedia, salvato dalla morte per congelamento dal gesto di un alpino, ci ha messo anni per mettere per iscritto una parola cristiana sull’esperienza.
La parola cristiana che don Gnocchi ha scritto porta il titolo che accende l’unica possibile parola di speranza nel fondo dell’abisso del soffrire: Cristo con gli alpini. Quando tutte le parole sono inutili, quando i segni sono incomprensibili, quando le energie sono esaurite, quando ogni speranza è perduta, una certezza rimane: Gesù non abbandona, Gesù rimane con coloro che soffrono. Gesù è disceso negli inferi più spaventosi per dire: «Sono qui, con te, sono qui perché tu gemi e soffri, perché tutta insieme la creazione geme e soffre e io sono qui e gemo e soffro con te».
La tragedia della guerra è incomprensibile, ma si vede che nell’umanità è seminato un principio di idiozia, una sorta di inestirpabile pazzia per cui l’umanità non impara mai neppure dalle sue vicende più tragiche.
L’umanità non impara mai e le guerre di cui si parla e quelle di cui non si parla continuano a distruggere e a trascinare uomini e donne nell’agghiacciante condizione di impietrimento e quasi di morte interiore. Noi raccogliamo la testimonianza di don Gnocchi e avvertiamo l’invito alla fede nella presenza di Cristo e il comandamento di amare come lui ha amato.
Siamo chiamati a stare là dove Cristo è vicino ai fratelli e alle sorelle che soffrono e talora gridano e bestemmiano e domandano: «Ma dov’è Dio!». Noi siamo chiamati a stare là, per dire Cristo è con te.
Noi vorremmo essere un segno di questa tenace, affidabile, irremovibile presenza di Gesù.
Talora le sofferenze sono rimediabili e noi saremo vicini a coloro che soffrono per dire loro: «Cristo è con te, Cristo si aspetta da te che tu guarisca, che tu recuperi le tue energie, la tua abilità. Non perderti d’animo, Cristo è con te!».
Talora le sofferenze sono croniche, irreparabili, quella pena che si deve portare per tutta la vita, che accompagna le persone con disabilità e i loro familiari e noi saremo là, ci prenderemo cura della baracca di don Gnocchi perché ci sia una casa, un sorriso, una mano amica per dire: «Cristo è con te e ti accompagna sempre».
Talora le sofferenze sono irrimediabili e la morte si profila come l’esito inevitabile e noi saremo vicini a chi soffre per dire: «Cristo è con te, non ti abbandona. Cristo ha subito e sconfitto la morte e le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura».
Talora le sofferenze sono misteriose e penetrano nell’intimità irraggiungibile della coscienza, come un’angoscia incomprensibile, una inquietudine che non lascia pace al pensiero, alle emozioni, e noi saremo vicini a chi soffre per dire: «Cristo è con te e non ti abbandona. Cristo è la nostra pace, Cristo abita proprio là dove non arriva la luce, là dove le medicine possono intontire ma non guarire, là dove non arrivano le parole neppure di coloro che ti amano. Cristo è con te».
Talora le sofferenze sono impercettibili, viviamo accanto e non ce ne accorgiamo, sono le persone di casa ma sono come estranei, sono quelli che incontriamo tutti i giorni e si presentano bene, impeccabili, efficienti, eppure hanno dentro un dramma che nessuno ascolta. Noi vorremmo almeno sorridere e tendere la mano per dire: «Cristo è con te, e quello che nessuno ascolta Cristo lo ascolta, e quello che nessuno consola può accogliere il Consolatore, lo Spirito che Cristo manda nei nostri cuori».
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