Nomi noti e persone sconosciute. Racconti solenni ed... (Leggi tutto)
Cinquantamila “Amis” in piazza Duomo, ed oltre tre milioni davanti agli schermi della tv, per rendere a Don Gnocchi il tributo più grande. Il 25 ottobre 2009, 53 anni dopo i solenni funerali - primo, grande attestato della devozione popolare per il “papà dei mutilatini” - nella suggestione di una piazza ancora una volta trasformata in autentica cattedrale a cielo aperto, il popolo di Don Carlo si è stretto commosso attorno a quell’urna di santità, minuscolo simulacro adagiato al centro del vasto sagrato, ai piedi di guglie imponenti, nel cuore simbolico di una città e di una Chiesa capaci del più straordinario degli abbracci.
Lo sguardo luminoso e il sorriso avvolgente di quell’esile prete, orgoglio di un’Italia che non ha cancellato dalla memoria e nelle coscienze il dono di una vita spesa fino all’ultimo, hanno ricevuto - in una Milano inaspettatamente calda e soleggiata - la festa più attesa, segno tangibile di una riconoscenza mai venuta meno.
Centomila occhi, molti dei quali gonfi di lacrime trattenute a stento, hanno fissato le spoglie del novello beato. Centomila mani giunte in preghiera si sono protese verso quell’urna sorretta a spalle dai devoti alpini. Centomila piedi hanno ritmato il passo in un trionfale corteo che ha suggellato la splendida celebrazione.
L’omaggio d’amore a quei piedi che avevano sfidato il gelo fatale della Russia perché nessun soldato potesse sentirsi solo in quel tragico trionfo di odio e di morte; a quelle mani che avevano saputo accarezzare, consolare, sorreggere e ricondurre alla vita migliaia di piccoli mutilati; a quegli occhi generosamente donati a due bimbi ciechi, ennesima sfida - profeticamente vinta - a una società spesso lenta e sonnacchiosa di fronte alle nuove vie del bene.
“Amis, ve raccomandi la mia baracca”, aveva implorato Don Carlo al momento dell’addio. E nel giorno più bello, quand’anche la Chiesa ha certificato con la propria autorità la perfezione cristiana di un’esistenza spesa senza riserve («Non desidero che la mia santificazione…», aveva scritto don Gnocchi), quegli stessi “Amis” non sono mancati all’appello. C’erano i concittadini di San Colombano al Lambro, paese natale, guidati dal sindaco Gianluigi Panigada e dal parroco don Mario Cipelli, fieri di accompagnare agli onori degli altari un figlio della loro gloriosa terra. C’erano gli amici di Besana Brianza, con il primo cittadino Vittorio Gatti e il responsabile della comunità pastorale don Francesco Cameroni (e insieme a loro l’associazione “Amici di don Gnocchi” di Montesiro) nel ricordo degli anni trascorsi dal giovane Carlo nella casa della zia.
C’erano centinaia di sacerdoti - concelebranti o meno -, vescovi e cardinali ad onorare quel fratello ordinato nel lontano 1925 dall’Arcivescovo di Milano Eugenio Tosi, «oscuri e ignoti fanti delle trincee di Cristo, che consumano le lampade ardenti delle loro giovinezze per far luce nel mondo a tanti giovani cuori brancolanti, che lievitano con la grandezza del loro sacrificio le generazioni del domani, ignorati e sprezzati dal mondo ma grandi dinanzi a Dio... Vorrei poter innalzare sulle ali possenti della poesia l’umile figura dei nostri sacerdoti» (don Gnocchi, “Andate e insegnate”, 1934). C’erano migliaia di chierichetti, guidati dal responsabile diocesano don Alberto Colombo, e giovani degli oratori, a ricordo dei primi impegni apostolici del coadiutore don Carlo, prima a Cernusco Sul Naviglio (rappresentato in piazza dal sindaco Eugenio Comincini) e poi nella popolosa parrocchia milanese di San Pietro in Sala.
C’era una nutrita rappresentanza del “Gonzaga” di Milano, prestigioso istituto dove don Gnocchi, per incarico del cardinale Il defonso Schuster, fu apprezzato direttore spirituale e dove affinò la propria pedagogia alla scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Insieme al postulatore generale dei Fratelli e postulatore della Causa di Beatificazione, fratel Rodolfo Meoli, hanno assistito alla solenne celebrazione , tra gli altri, il visitatore provinciale fratel Donato Petti e il responsabile della comunità di Milano, fratel Marco Tottoli). C’erano migliaia e migliaia di penne nere a ringraziare il tenente cappellano don Carlo, arruolatosi con loro e con loro in trincea, prima sulle montagne fangose della Grecia e dell’Albania e poi per le lande gelide della steppa russa, nella drammatica esperienza della ritirata con gli alpini della Tridentina: «Da quel giorno, la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore, sul volto sacro dei miei morti e dei miei feriti».
Gli stessi alpini che in occasione dei funerali avevano portato a spalle la bara del loro cappellano, nel medesimo modo hanno portato l’urna con le spoglie del beato don Gnocchi dalla chiesa di San Bernardino alle Ossa - dove l’avevano vegliato per tutta la notte del sabato - in piazza Duomo e poi ancora, al termine della liturgia, dalla piazza alla chiesa di San Sigismondo in Sant’Ambrogio. Accompagnata dai canti più amati di Don Carlo - eseguiti dal coro Ana di Milano - la celebrazione è stata seguita dalla quasi totalità dei presidenti delle 81 sezioni italiane, guidati dal presidente nazionale Corrado Perona e dall’intero Consiglio Direttivo Ana. Con loro, anche Marcello Bellacicco, generale Capo di Stato Maggiore comandante delle truppe alpine; Pietro Fabbris, presidente nazionale Unione Reduci di Russia e Giuseppe Arcaroli, presidente nazionale Associazione Vittime di Guerra. C’erano gli amici dell’Università Cattolica, dove don Carlo fu assistente spirituale, guidati dal magnifico rettore Lorenzo Ornaghi; c’erano centinaia di scout, memori di straordinarie collaborazioni tra cui la ben nota Freccia Rossa, il raid Milano-Oslo in sella ai mitici Guzzini per raccogliere fondi per l’Opera dei mutilatini.
C’erano i rappresentanti di associazioni di disabili, di gruppi di volontariato, di scuole intitolate negli anni a don Gnocchi, attive in ogni parte d’Italia (oltre un centinaio i provenienti dal liceo di Carate Brianza, guidati dal preside Franco Viganò e dal presidente dell’Istituzione Culturale Giacomo Coppo, scuola subito rinominata “Beato don Carlo Gnocchi”). C’erano i membri dell’Aido, guidati dal presidente nazionale Vincenzo Passarelli, e dal presidente regionale lombardo Leonida Pozzi, in ricordo del gesto profetico del trapianto delle cornee: Silvio Colagrande e Amabile Battistello, che da oltre cinquant’anni vedono con gli occhi di un santo, reliquie viventi del novello beato, hanno tolto il drappo che copriva l’urna con il corpo di don Carlo nel momento solenne della proclamazione della beatificazione.
C’erano soprattutto loro, i suoi ragazzi, orfani, mutilatini, mulattini e poliomielitici accolti negli anni nei collegi della Pro Juventute («Altri potrà servirli meglio ch’io non abbia saputo e potuto fare; nessun altro forse, amarli più ch’io non abbia fatto»), molti di loro oggi riuniti nell’Associazione Ex Allievi, presieduta da Luisa Arnaboldi: due di loro, insieme a rappresentanti delle vittime civili di guerra, hanno deposto fiori e ceri ai piedi dell’urna.
C’erano i familiari e i concittadini di Sperandio Aldeni, l’artigiano elettricista di Villa d’Adda (la cittadina in provincia di Bergamo era rappresentata dal sindaco, Adelvalda Carsaniga) protagonista del miracolo attribuito a Don Gnocchi che ha di fatto sancito la sua beatificazione: colpito nell’agosto ’79 da una mortale scarica elettrica durante un normale turno di lavoro, l’uomo - purtroppo recentemente scomparso - aveva trovato la forza di invocare l’amato Don Carlo ed era incredibilmente sopravvissuto.
E non mancavano - provenienti da ben nove regioni italiane - gli eredi di Don Gnocchi: direttori, responsabili, operatori, dei 28 Centri italiani della Fondazione che oggi porta il suo nome, insieme ad alcuni rappresentanti delle strutture aperte o avviate nei Paesi in via di sviluppo. C’erano alcuni piccoli disabili, assistiti nei Centri di Inverigo (Co) e Falconara Marittima (An). C’erano i ragazzi dei Centri Socio-Educativi e delle comunità-alloggio di Milano, Legnano, Salice Terme (Pv), Roma...
C’erano parecchi anziani delle Residenze Sanitarie Assistenziali di Milano, Pessano con Bornago (Mi), Malnate (Va), Seregno (Mb). C’erano pazienti in cura a Rovato (Bs), Torino, Firenze, Sarzana (Sp), Marina di Massa (Ms), Salerno, Tricarico (Mt), Acerenza (Pz). Un lungo pellegrinaggio con ogni mezzo - dalla bici al treno speciale - ha condotto a Milano oltre seimila “eredi” privilegiati di quegli “Amis” a cui don Carlo aveva affidato la propria baracca: dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, dalla Toscana alle Marche, dal Lazio alla Campania fino alla Basilicata.
Cartelli, striscioni, bandierine hanno colorato la loro composta presenza in piazza, atto finale di un intenso lavoro di preparazione che ha contraddistinto quest’anno particolare. Una risposta orgogliosa ed entusiasta all’appello lanciato dal presidente della Fondazione, monsignor Angelo Bazzari, terzo successore di don Gnocchi. Altrettanto straordinaria è stata la risposta della gente comune, accorsa in massa, ulteriore testimonianza di quella “santità popolare” di don Gnocchi mai venuta meno nel corso di questo mezzo secolo. «Sono qui per Don Carlo, perché se lo merita», spiegava un’anziana donna. «La Fondazione ha fatto tanto per mio figlio malato», aggiungeva una mamma. «È un esempio di passione per tutti i sacerdoti», rilanciava un fedele seduto nelle prime file. «Le penne nere non si dimenticano del loro cappellano», concludeva un reduce con il cappello alpino consunto.
Nell’omelia il cardinale Dionigi Tettamanzi ha invitato ad imitare Don Gnocchi «nel dire di sì con tutto il cuore al progetto di santità voluto da Dio per ciascuno di noi e di viverlo nella fiducia e nell’umile e generosa carità d’ogni giorno, dalla quale dipende la salvezza del mondo. Ci doni il Signore - ha aggiunto l’Arcivescovo -di condividere la convinzione e la decisione di Don Gnocchi, che così scriveva nel 1945 ad un confratello nel sacerdozio: “Forse mi manca il coraggio delle decisioni supreme eppure comprendo che oggi solo la carità può salvare il mondo e che ad essa bisogna assolutamente consacrarsi».
Un invito rafforzato dalle parole del Santo Padre, Benedetto XVI, collegato tramite i maxi schermi posizionati in piazza, che nel saluto rivolto ai fedeli ha voluto far suo il motto che accompagna le attività della Fondazione Don Gnocchi: «Accanto alla vita. Sempre»!
Un appello che inorgoglisce e responsabilizza, che ricarica d’entusiasmo e chiama a sempre maggiori coerenze. Quasi un’eco alle parole di don Gnocchi in una lettera al caro cugino Mario Biassoni: «Dio è tutto qui, nel fare bene a quelli che soffrono e hanno bisogno di aiuto materiale o morale. Il Vangelo non comanda altro: tutto il resto viene dopo, e viene da sé».
«Don Carlo ci ha insegnato che le disgrazie altrui sono un dovere comune - aveva ammonito il cardinale Montini, grande amico di Don Carlo, in occasione della solenne traslazione della salma dal cimitero monumentale al Centro “S. Maria Nascente”, nell’aprile del 1960 - e che non vi è opera più nobile e gioia più grande di quella che si prodiga a favore dei più fragili».
Gli occhi lucidi dei cinquantamila di piazza Duomo sono stati il grazie più sincero e la promessa più fedele di una missione che continua.