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«Sulle macerie di una guerra disastrosa e assurda, in un Paese umiliato e tormentato da divisioni, desideri di rivincita, sensi di colpa, don Carlo Gnocchi e tanti come lui hanno interpretato il loro tempo come il tempo adatto per ricostruire, per ricominciare, per riabilitare uomini e donne di ogni età e condizione, per dare principio a una storia nuova. La santità di don Carlo è stata quella dei gesti minimi, di quelli possibili in momenti tragici e di fronte a miserie impressionanti».
Sono le parole di monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, alla Messa solenne per il decimo anniversario della beatificazione di don Gnocchi, celebrata oggi, 25 ottobre - festa liturgica del beato -, nel santuario milanese a lui dedicato, presso l’IRCCS “S. Maria Nascente”.
Oltre quindici i sacerdoti concelebranti, tra i quali il presidente della Fondazione don Vincenzo Barbante, il presidente onorario monsignor Angelo Bazzari, il rettore del Santuario don Maurizio Rivolta, il decano della zona di San Siro don Giovanni Castiglioni, insieme ad alcuni cappellani dei Centri della Fondazione.
Ricordando in apertura la beatificazione di don Gnocchi come un «evento straordinario, non solo per la nostra comunità, ma per l’intera Chiesa ambrosiana», don Barbante ha parlato di «spirito di gioia e di gratitudine verso il Signore, che ci ha donato una figura straordinaria di prete come don Gnocchi, capace di mettersi al servizio dei più fragili e deboli». (guarda qui sotto il suo saluto all'arcivescovo)
Tra i tanti fedeli presenti, anche il direttore generale della Fondazione Francesco Converti, la direttrice scientifica Maria Chiara Carrozza e il direttore dell'IRCCS “S. Maria Nascente” Roberto Costantini, insieme ad operatori, ospiti e familiari dell’istituto milanese, rappresentanze dei Centri lombardi, amici della Fondazione, autorità, ex-allievi, alpini, rappresentanti dell’Aido e di altre associazioni.
Durante l’omelia, l’arcivescovo di Milano ha così delineato il contesto di fede nel quale ha operato durante la sua vita il beato don Gnocchi, invitando a resistere alla rassegnazione, allo sconforto, alla poca stima di se stessi, allo spavento interiore, anche se la vita è difficile, la violenza dilaga, la malattia segna in profondità il corpo: «Il gemito del mondo - è il messaggio di mons. Delpini - rappresenta talora un grido, un allarme, uno spavento per l’impressione che tutto stia crollando; talora invece è un gemito sommesso, come di un animale ferito, uno struggente senso di impotenza; talora è come una stanchezza invincibile, un invecchiare estremo che dà l’impressione dell’irrimediabile. Ma la parola dell’Apostolo interpreta il gemito del mondo come il travaglio di un parto. Perciò i credenti reagiscono all’impressione di un mondo stanco, esausto condannato all’inevitabile declino e vivono la trepidazione di una attesa, sentono il fremito della vita nuova che nasce e si danno da fare per preparare condizioni di accoglienza, una serenità più predisposta al futuro».
«La missione del Figlio ci ha rivelato che noi siamo preziosi per Dio e che l’opera di Gesù ci ha donato lo Spirito di Dio - ha proseguito nell’omelia l’arcivescovo (vedi qui sopra il video) -: siamo stati amati e resi capaci di amare. Siamo elevati alla dignità di figli di Dio. Tutti, tutti, uomini e donne trovano in questo la loro dignità e la loro grandezza: non nell’esibizione di ricchezza o di bellezza o di potere o di prestigio. Siamo amati e resi capaci di amare. Dio rimane in noi e noi in Dio. La Restaurazione della persona umana è l’impresa alla quale don Gnocchi si è dedicato, per la stima che ogni persona merita e per la grazia che ogni persona riceve».
Infine, la riflessione di monsignor Delpini si è soffermata sul senso di insignificanza dell’impegno dei tanti che si prodigano per il bene: «Le nostre opere ci lasciano talora delusi, ci sembra di fare così poco! Abbiamo l’impressione di non contare niente. Diciamo una buona parola e questa si perde nel chiasso di parole volgari, violente, cattive. Costruiamo un piccolo angolo di solidarietà e siamo travolti da una ondata incalcolabile di violenze. Ma lo sguardo di Dio sulla vicenda umana non guarda ai numeri e non si esprime in statistiche, ma riconosce il valore del gesto minimo, tiene conto dell’opera da nulla compiuta da gente che non grida e non si fa pubblicità e continua ostinatamente a compiere il bene possibile. Davanti al giudizio di Dio riceve gloria il gesto minimo: “Mi hai dato da mangiare, sei venuto a trovarmi, mi hai dato una casa, un vestito…”».
Da qui l’invito a riconoscere il bene, come seppe fare don Gnocchi: «Nei bilanci delle nostre imprese - ha concluso, prima della visita alle strutture dell’IRCCS, e in particolare al nuovo reparto per pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, dove ha incontrato medici, operatori, pazienti e familiari - siamo invitati a riconoscere i gesti minimi. Ci interessa il giudizio di Dio più del prestigio e degli applausi degli uomini. La santità di don Carlo è stata quella dei gesti minimi, di quelli possibili in momenti tragici e di fronte a miserie impressionanti. Una vita di gesti minimi che Dio ha scritto nel libro della vita: perciò don Carlo è felice per sempre presso Dio».
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