Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
di Vincenzo Barbante
presidente della Fondazione Don Gnocchi
“In questi momenti, nei quali tutto sembra dissolversi e perdere consistenza, ci fa bene appellarci alla solidità che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri, cercando un destino comune. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. Il servizio è “in gran parte avere cura della fragilità.” (Lettera enciclica "Fratelli tutti", n. 115).
Quanto sono vere e così coerenti con il nostro modo di vedere queste parole di Papa Francesco. Quale motivo di riflessione offrono in questo 2020, segnato e deturpato dalla pandemia che ha toccato l’intero pianeta.
Ritrovo in queste parole la giusta prospettiva per ripensare a quanto ci è capitato e a come lo abbiamo affrontato. Un virus sconosciuto, subdolo e pericoloso ha colpito in modo drammatico l’umanità e in particolare le persone più fragili, gli anziani. I sistemi sanitari sono stati messi in ginocchio e la popolazione è rimasta ostaggio di ore e ore di trasmissioni televisive monotematiche e di una informazione più attenta all’audience che alla verità di quanto accadeva.
Abbiamo assistito ad una infinita parata di virologi, politici ed esperti commentatori provenienti dalle più disparate professioni e assetati di visibilità. Tutto questo ha generato nell’opinione pubblica turbamento, paura, rassegnazione e, infine, rabbia. Eppure, l’unica parola che doveva essere detta, ripetuta e vissuta, solidarietà, è rimasta nell’ombra, relegata agli interventi concreti di coraggiosi volontari e dei messaggi di personalità come Papa Francesco e, va riconosciuto, il nostro Capo dello Stato.
La nostra Fondazione si è trovata fin dai primi mesi in prima linea a fronteggiare un evento inimmaginabile con tutti i mezzi a sua disposizione. L’aver anticipato anche di alcune settimane gli interventi disposti dalle autorità preposte non ha impedito in alcuni centri l’ingresso del virus. Allora è iniziata una lotta durissima per salvaguardare la salute, la vita di ogni componente della nostra comunità, ospite, operatore, volontario che fosse. Al di là di quanto narrato dai media, tutta Fondazione ha affrontato con coraggio e determinazione questa emergenza.
Interpretazione e osservanza della valanga di norme e indicazioni dettate dal Governo, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalle Regioni, dalle varie autorità locali; ricerca incessante e senza badare a spese di dispositivi di protezione, lottando contro accaparramenti e sequestri; adeguamento continuo delle strutture per una corretta compartimentazione degli spazi per accogliere e gestire i nostri ospiti non accolti, purtroppo, nelle strutture ospedaliere; collaborazione prestata alle realtà sanitarie locali, soprattutto laddove la situazione era più drammatica; energie spese per garantire un contatto fra ospiti e famigliari pur nella carenza di personale impegnato nell’assistenza; impegno continuo per garantire a tutti gli ospiti le cure necessarie con competenza e compassione; formazione continua e sostegno al personale rimasto convintamente al proprio posto di lavoro.
E ancora, assistenza e accompagnamento personale, stando accanto fino all’ultimo, a coloro che ci hanno lasciato, uomini e donne, non numeri, che conoscevamo bene e che erano parte della nostra famiglia: questo è quello che abbiamo affrontato.
Ci sarebbero tante storie da narrare e testimonianze da offrire. Anche nei giorni più duri, tutta Fondazione, dirigenti, personale sanitario e amministrativo, ha dato una prova coraggiosa di coerenza, ponendo al primo posto sempre e solo la cura della vita.
In mezzo all’incredibile tempesta mediatica che ci ha colpiti e ai troppi silenzi istituzionali, non sono mancati segnali e messaggi di gratitudine da parte di ospiti e parenti, incoraggiamenti e solidarietà da amici, dagli ex allievi di don Carlo e dai carissimi Alpini (con commozione ricordo il saluto reciproco prima della partenza dell’Ottavo reggimento per la missione in Afghanistan).
Le testimonianze più preziose sono state quelle offerte dai nostri operatori. Alcune le ho raccolte girando per i centri. Durante questa vicenda drammatica i nostri operatori hanno messo in gioco, non solo le proprie competenze professionali, ma tutto se stessi. Nei confronti dei nostri ospiti costretti dall’isolamento forzato si sono adoperati in ogni modo per fornire non solo l’assistenza medica, ma quel di più di umanità indispensabile, come se fossero loro figli e figlie, fratelli e sorelle.
Qualcuno di loro nel condividere gli ultimi istanti di vita di chi aveva assistito per anni, ha dato tutto quello che in quel momento poteva, quella prossimità generata non dal mansionario, ma da un sentimento autentico di umana pietà e di fraterna carità, aggiungo io, cristiana. Sono state scritte pagine davvero uniche che resteranno nella memoria di chi le ha vissute e che mai troveranno spazio nei resoconti dei media.
Vorrei tanto che qualcosa arrivasse ai parenti, che sapessero cosa è stato fatto, perché davvero in Fondazione non ospitiamo pazienti, ma persone, fratelli e sorelle.
“Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca a sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone.” (Lettera enciclica "Fratelli tutti", n. 115).
L’emergenza non è finita. Stiamo vivendo la seconda ondata. L’esperienza fatta e l’aver guardato in faccia questo nemico subdolo e imprevedibile ci ha reso un po’ più forti. Sappiamo che non dobbiamo mai abbassare la guardia. È un virus pericoloso, che si insinua quando meno te l’aspetti, quando pensi di aver fatto di tutto per contenerlo. Abbiamo imparato che lavorare insieme, uniti e compatti, è fondamentale. La solidarietà fra le varie categorie professionali, con le famiglie, con i volontari è una delle armi decisive per affrontare la lotta. Quella solidarietà che non percepiamo nei dibattiti televisivi o tra le forze sociali e politiche, la invochiamo per il nostro Paese e per il mondo.
Sono convinto che la prova più grande non è però quella che abbiamo vissuto. La prova più grande è quella di saper imparare dai giorni passati e presenti. Ciò che ci attende è cercare di cogliere l’opportunità che questa vicenda ci sta suggerendo: costruire un futuro diverso, che abbia la solidarietà come fondamento.
Il virus ha scoperchiato il velo su una verità profonda e troppo spesso taciuta: la propria comune fragilità. L’umanità si è scoperta unita nella sua precarietà. Questa consapevolezza deve orientare all’unica vera scelta per la quale occorre il coraggio di rischiare: la scelta di amare liberamente. Senza calcoli. Senza garanzie. L’unico vero vaccino contro il male è la solidarietà.
Quello che gli scienziati con il loro straordinario ingegno ci offriranno è solo uno strumento che, però, non potrà da solo cambiare il mondo. Ci aiuterà a sconfiggere un male, ma non il male. Povertà, diseguaglianze, ingiustizie, solitudine continueranno ad essere presenti. Ebbene, lo ripeto: nessuno nella prova deve restare da solo. Nessuno.
Il mistero del Natale racconta proprio questo. Chiama a raccolta tutta l’umanità. Per tutti Dio si fa vicino. Per chi ha sete di giustizia, di pace e di speranza, per chi soffre, per chi ha paura, per chi è stanco, per chi è giunto al tramonto della propria esistenza, Gesù si offre come via, verità e vita. Gesù si fa prossimo ad ogni uomo, di tutti condivide il destino, fino alla morte. Per Lui nessuno è solo, perchè Dio non abbandona nessuno. A tutti si fa vicino. A chi sa cogliere il tutto nei frammenti della vita, quel mistero di amore si rivela ancora oggi presente in ogni cosa. Un amore che anche in questi giorni non ha smesso di muovere i cuori, di suscitare gesti piccoli o grandi di solidarietà e di gratuità, di perseverare nel servizio agli altri vincendo stanchezza e sconforto. Il mistero del Natale è quello che ha sostenuto realtà come la nostra Opera, promossa da un uomo di Dio, don Carlo Gnocchi. Alla sua fede, al suo coraggio, alla sua determinazione nell’amare ci ispiriamo, perché per tutti noi e per l’umanità intera sia veramente Natale.
“Sia gloria in cielo e agli uomini amati dal Signore”.
(dall'editoriale della rivista Missione Uomo, periodico della Fondazione Don Gnocchi, dicembre 2020)
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