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«Non siete soli, perché siete benedetti da Dio per il bene che fate, le fatiche che affrontate, le risorse che sapete esprimere, le preoccupazioni che avete per il presente e il futuro. Per questi dubbi e crucci, per le domande senza risposte che nascono davanti ai tanti volti del male, siate benedetti da Dio!».
Così monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha ringraziato e incoraggiato ospiti, operatori e responsabili della Fondazione Don Gnocchi in occasione del tradizionale incontro natalizio all’Istituto “Palazzolo-Don Gnocchi” di Milano.
L'arcivescovo di Milano, nella chiesa del "Palazzolo", accanto ai doni degli ospiti e degli operatori
La benedizione ha concluso la Liturgia della Parola e lo scambio di auguri, impreziosite dalla consegna all'arcivescovo di alcuni simbolici doni, a caratterizzare l'impegno eroico di un anno che ha vissuto giorni di dolore: un lenzuolo strappato e sgualcito «che rappresenta la nostra anima che abbraccia un grande cuore, dove ci sono i nomi di tutte le persone a noi care che in questo 2020 hanno raggiunto la casa del Padre»; un vaso di lacrime «segno della sofferenza e della tristezza che tutti noi portiamo nell’anima; chiediamo al Signore che ci aiuti a sopportare il peso delle prove della vita»; alcuni manufatti degli ospiti «che simboleggiano il nostro e il loro talento, perchè ognuno di noi è capace di capolavori autentici»; le candele «per il bisogno di luce che abita i nostri cuori»; la divisa, i guanti e le mascherine «perchè sono l’emblema della nostra professionalità e della passione che ogni giorno deve accompagnare le nostre mani nel servire i più fragili» e una stella cometa «perché guidi le menti di cuori di chi ci guida verso la saggezza, l'umanità e l’ascolto».
La consegna dei doni simbolici: il cuore, i simboli del lavoro, la stella cometa e i manufatti degli ospiti
L’emergenza sanitaria ha imposto presenze ridotte, ma di fronte all’arcivescovo non sono mancate nella chiesa del "Palazzolo" rappresentanze di ospiti, operatori sanitari, volontari, alpini, autorità civili e militari, responsabili della Fondazione, insieme alle Suore Poverelle del Beato Palazzolo. Sull’altare, accanto a monsignor Delpini, don Vincenzo Barbante, presidente della Fondazione Don Gnocchi, monsignor Angelo Bazzari, presidente onorario, don Mauro Santoro, incaricato del Servizio di Pastorale della Salute per i disabili e il cappellano don Renzo Rasi che ha così ringraziato per questa quarta visita alla struttura: «L’accoglie il popolo che qui vive e opera. Le diamo gioiosamente il benvenuto. Stiamo vivendo il paradosso di questa pandemia, uscendone rafforzati, guardando al futuro prossimo come un dono e uno sprone a costruire i nostri rapporti con condivisione e fraternità. Con la salda certezza che Dio non ci ha mai abbandonato, ricordiamo chi ci ha lasciato e chi è sempre rimasto sul suo campo di lavoro: sono eroi e meritano riconoscimento».
«Il nostro Dio è un Dio che vuole salvarci – ha sottolineato l’arcivescovo -. Di questi tempi, alcuni sono in crisi di fede, si chiedono perché accadano queste cose, se il Signore si è dimenticato di noi o se voglia castigarci, ma Dio è qui per salvarci. Come fa questo? Inviando tra noi "tre sorelle" sue collaboratrici. La prima è la “minaccia”, quando dice che se crediamo negli idoli, il potere, le ambizioni, il denaro, finiamo servi. Poi, ha mandato sulla terra la “promessa”, che invece dice: “Se credete alla promessa di Dio arriverete alla terra promessa”. Ma gli uomini di ogni tempo, di fronte alle parole sia di minaccia che di promessa, sono stati scettici e hanno reagito con indifferenza».
GUARDA IL MESSAGGIO AGLI OPERATORI DEL "PALAZZOLO" E ALLA FONDAZIONE DON GNOCCHI
L’arcivescovo ha poi aggiunto che in questi tempi il Signore ha mandato la terza sorella che si chiama "amabilità" e che convince a fare il bene con la sua attrattiva: «L’amabilità non è una qualità naturale, non è avere un buon carattere, ma è frutto di un lungo esercizio, di una capacità di autocritica, di una lunga pazienza a esercitare le virtù. È attrattiva perché partecipa dell’amore e della comunione di Dio e, per questo, avvicina al Signore. In questo luogo, con le sue tante forme di paura, fragilità, tristezza, Dio ha mandato l’amabilità che è il tratto di tante persone che vivono e lavorano qui. Io ho sempre percepito questo e, perciò, vi voglio ringraziare. Quello che rende sostenibile la vita in questo tempo e permette di poter celebrare anche questo Natale, è proprio l’amabilità, uno stile che dimostra l’amorevolezza che ci rende sempre più simili a Dio. Lasciamoci accompagnare da questa messaggera: se riusciamo a rivestire di amabilità le tante cose che facciamo, anche nei momenti difficili, vi può essere un tratto di serenità che rende sostenibile la vita, la fatica e il dolore. Dio ci convince che ci vuole bene mandando in mezzo a noi l’amabilità, come dimostra il rimpianto che lasciano tra la gente, talvolta anche dopo anni, i sacerdoti».
La benedizione finale a tutti gli operatori e ospiti dell'Istituto: «Non siete soli!»
Il direttore del "Palazzolo", Antonio Troisi, in un lungo e appassionato intervento, ha ripercorso all'arcivescovo i difficili mesi della primavera scorsa, ricordando e ringraziando per il sostegno ricevuto dalla diocesi. Il direttore ha poi ripreso e rafforzato il concetto di "amabilità" indicato dall'arcivescovo, attribuendolo «a medici, infermieri e operatori sanitari, che trasformandosi nella vestizione di ogni giorno da esseri umani a extraterrestri, hanno unito le forze e garantito sempre la dignità delle persone che ci sono state affidate». Troisi ha infine ringraziato quasi uno ad uno gli uomini e le donne di Fondazione che, come una squadra coesa e compatta, hanno affrontato «ciascuno con la propria professionalità e con straordinaria generosità un'emergenza che ci ha colpiti, ma che non ci ha sconfitti».
Il saluto del presidente, il direttore generale della Fondazione, il direttore del Centro e il cappellano
«Il nostro pensiero non può che andare ai due beati don Carlo Gnocchi e don Luigi Palazzolo - ha rimarcato in conclusione il presidente don Vincenzo Barbante -, ai fondatori delle realtà che oggi portano il loro nome, alla loro fraternità e allo sguardo preveggente con cui seppero sostenere le povertà più povere. Ci siamo uniti, stretti, resi responsabili e necessari per chi operava in prima linea e abbiamo affrontato la sfida con le stesse parole di don Carlo, di don Luigi, di Gesù: “Nel dolore e nellla malattia nessuno è mai solo”. Ho sentito vicende che non troveranno mai spazio né sui giornali, né in televisione, ma che resteranno nella storia di questa grande realtà, come patrimonio ed eredità dei due beati».
Alla cerimonia ha partecipato anche una rappresentanza di anziani ospiti assistiti al "Palazzolo"
E ricordando il recente discorso di Sant’Ambrogio dell'arcivescovo, “Tocca a noi, tutti insieme”, don Barbante si è soffermato sulla consapevolezza che «il vaccino non risolverà tutti i problemi e che resteranno aperti moltissimi fronti. Se non risponderemo con umiltà, generosità e fraternità, e in questo il Papa e l’Arcivescovo ci sono maestri, tutto ciò non sarà servito. La sua presenza, eccellenza, dice che il Signore ci è vicino».
Uno scorcio dei presenti, in numero limitato per garantire a tutti le condizioni di massima sicurezza
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