Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Oggi più di due terzi degli operatori “Don Gnocchi” sono donne. Come Antonella, infermiera, che in occasione dell’8 marzo ha voluto condividere questa sua testimonianza per consolidare la speranza nei cuori del personale di tutti i Centri. È grazie alla professionalità e alla dedizione di tante donne così, che la Fondazione può continuare – oggi come ieri – il suo impegno accanto e al servizio della vita, sempre.
Ricordo perfettamente quel giorno. Non c'è nulla di sfumato nella mia mente. Mi trovavo lì per caso, in un turno non mio. C'era qualcosa in quella nostra paziente che non mi convinceva. La sdraiai sul letto e le misi il termometro sotto il braccio. Poi la pressione e la saturazione. Da 37° a 38.5°, in un batter di ciglia. Tremava come un cucciolo fradicio di pioggia in una mattina gelida. Il medico di reparto mi guardò. Quello sguardo non lo dimenticherò mai…
Ricordo poi il referto. Mi ricordo il cuore che batteva all'impazzata e, per un attimo, ho pensato di svenire. Facevo spola tra il divano e la finestra. Le lacrime miste a sudore...
Le cose che ho imparato in quest'anno non si possono contare. Ho riempito secchi di emozioni che vorrei non dover svuotare mai. Ho promesso a Luigi amore eterno, pur non potendolo baciare per giorni. Ho amato il profumo del ciambellone in cucina, della lasagna nel forno. Ho insegnato a mia nonna l'importanza di una videochiamata. Ho imparato l'amore di mia madre.
E poi ho scoperto di essere la famiglia di qualcuno. Dei miei colleghi, dei miei pazienti. Ho capito che il mio lavoro bisogna leggerlo tra le righe, che non tutti lo possono comprendere. Sono stata la nipote di qualcuno, la figlia di un altro. Ho stretto mani fragili, accarezzato guance stanche. Ho raccontato cosa stesse accadendo fuori, quando loro a stento riuscivano a distinguere il sole o la pioggia dalle finestre.
Ho promesso loro che sarebbe andato tutto bene. Che ne saremmo usciti. Ho cantato loro le più belle canzoni per farli divertire. Li ho anche accompagnati sulle ambulanze, salutati da lontano.
Che cosa porto con me? L'ansia di Filomena, la risata di Alessio, le mille mogli di Pompeo, l'amore di Liliana per i fruttini, il foulard di Celestina, i discorsi con la professoressa di matematica...
Mi porto un lavoro che un po’ ami e un po’ odi. Che ti fa perdere la pazienza, ti fa litigare. Mi porto un lavoro che mi fa arrabbiare, ma che mi fa sperare in un po’ di umanità. Che mi fa credere che ancora esista qualcosa di bello al mondo: prendersi cura di qualcuno come se fosse te stesso.
Ai miei colleghi, ai miei pazienti, a chi non ce l'ha fatta e a chi è tornato da noi.
Alla vita che è un viaggio fantastico e alla speranza... perché un infermiere ci crede sempre, fino alla fine.
Antonella
Infermiera professionale – Fondazione Don Gnocchi
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