La visita a Milano del vescovo di Buchach e la... (Leggi tutto)
di Giovanni Oldani
La mia richiesta di poter collaborare come volontario con la Fondazione Don Gnocchi non è stata la decisione di un giorno. Le decisioni, quelle importanti e impegnative, non vengono solo dopo lunghe riflessioni su motivazioni di senso e sui desideri; anzi, spesso sono le circostanze, le esperienze e gli incontri che spingono finalmente a buttarsi e a provarci. E
questo è stato il mio caso.
Dopo un breve periodo di insegnamento della matematica e della fisica agli studenti delle scuole superiori, ho lavorato per una grande azienda informatica: tanto lavoro, ogni giorno più complesso, in un contesto sempre più esigente. Sono stato anche amministratore del comune di Ossona, piccolo centro dell’hinterland milanese, il paese mio e di Damiano, prima come assessore e poi con la carica di vicesindaco con responsabilità nell’ambito dell’istruzione, cultura e ambiente, fino al mese di giugno di quest’anno e per un periodo di vent’anni. Un servizio lungo e impegnativo, sempre in contatto con le persone, con le loro richieste e i loro bisogni; un’esperienza che mi ha insegnato molto, anche per la mia crescita personale. Sono sposato da 35 anni e ho tre figli, tutti grandi, sempre meno dipendenti dal mio tempo e da quello della madre.
Questo è il contesto di oggi: allentate le responsabilità si è fatta strada la necessità di rimettermi in gioco, disponibile dove c’è più bisogno, con chi per ogni cosa non può fare a meno del supporto degli altri.
Damiano Gornati lavorava da anni al Servizio Comunicazione della Fondazione. È mancato lo scorso luglio al Centro di Marina di Massa dove si trovava per la riabilitazione dopo un delicato intervento
Con mia moglie avevo seguito da lontano il decorso della malattia di Damiano, costantemente informati dalla moglie Laura. Abbiamo trepidato quando abbiamo saputo del grave malore, ci ha rincuorato la buona riuscita del rischiosissimo intervento di maggio all’ospedale Careggi di Firenze ed eravamo fiduciosi una volta avviata la complessa fase della convalescenza e della riabilitazione al Centro “Don Gnocchi” di Marina di Massa.
E così proprio quel 10 luglio siamo andati a fargli visita. Ci siamo sentiti sollevati quando quel pomeriggio lo abbiamo visto venirci incontro, sorridente e sereno. Era il solito Damiano. Niente faceva presagire quello che poi è accaduto.
Erano frequenti e lunghi gli intervalli di tempo in cui non ci si incontrava (lui impegnato tra Rosignano e poi Firenze, noi ad Ossona), solo pochi contatti e brevi messaggi, ma ancora quel pomeriggio, come a riprendere una storia interrotta il giorno prima, abbiamo conversato della nostra famiglia, del figlio Riccardo, di Laura, del lavoro, della “Don Gnocchi”, di Ossona, di politica, delle elezioni, di libri… Questo capita con gli amici con i quali si sono condivisi tratti di vita.
Io e mia moglie siamo stati testimoni di nozze di Damiano e Laura, naturale conseguenza del rapporto di una vita, dall’oratorio, alle vacanze in montagna e al mare, ai capodanni, dalle chiacchiere alle confidenze, all’impegno pubblico. Mi stupiva la discrezione di Damiano. Lo ricordo come una presenza silenziosa, discreta, ma sorprendente, spiazzante. Rivelava di avere una forza d’animo inaspettata. Sapeva suonare - ed anche bene - il pianoforte, ma lo abbiamo scoperto così per caso una sera a casa sua...
Sapeva quello che voleva: aveva deciso di entrare in "Don Gnocchi" dopo la laurea, ci aveva provato e riprovato, aveva anche atteso finché non fu assunto. Ricordo l’entusiasmo per questa sua prima esperienza lavorativa, interrotta poi nel 2000 per dedicarsi ad altre esperienze professionali, sempre nell’ambito della comunicazione, e poi ripresa dodici anni dopo. Si vedeva, era contento quando ne parlava, sentiva la Fondazione “nelle sue corde”, come se la sfida di raccontare l’attività di una realtà non profit protesa al servizio dei più fragili, in Italia e nel mondo lo rendesse felice e realizzato.
Faceva quello in cui da cristiano credeva: solidarietà e vicinanza alle persone più fragili, dalla tesi di laurea che trattava delle condizioni nei manicomi nella storia d’Italia, alla professione nel Servizio Comunicazione di una realtà «che si ispira ai principi della Carità cristiana e della promozione integrale della persona… in stato di maggior bisogno». Ho sempre visto in Damiano una grande coerenza con questi principi, nella vita e nel lavoro. Un cerchio perfetto. Per questo mi piaceva ascoltarlo e condividere con lui questi stessi valori.
Sono queste le motivazioni che mi hanno spinto a chiedere di prestare servizio di volontariato presso la Fondazione Don Gnocchi, dove ci sarà più bisogno e dove potrò maggiormente essere utile: la mia disponibilità di tempo, determinata delle circostanze della vita, la volontà di rimettermi in
gioco per chi ha più bisogno e l’esperienza - alla fine tragica - con Damiano.
Damiano è mancato proprio lì, nella sua “Don Gnocchi”, con noi accanto, mentre lo ascoltavamo. Tanto è forte in me il segno di questa esperienza che ho sentito il dovere di compensarla in qualche modo.
Farlo a “casa sua” con i suoi colleghi può essere il giusto inizio.
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