Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Lo sviluppo di forme gravi di Covid-19 sembra essere associato a un’alterazione della funzionalità delle Natural Killer, cellule del sistema immunitario che svolgono un ruolo chiave nel controllo delle infezioni virali. Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori del Laboratorio di Medicina Molecolare e Biotecnologie dell'IRCCS “Don Gnocchi” di Milano, pubblicato sulla rivista “Molecular Neurobiology”.
L’attività delle Natural Killer è regolata da uno stretto equilibrio tra recettori attivatori ed inibitori: obiettivo principale dello studio era quello di valutare il loro ruolo nella differente risposta all’infezione e quindi al diverso decorso della malattia.
«La ricerca – spiega la dottoressa Marina Saresella (nella foto sopra), responsabile del Laboratorio e autrice dello studio – è stata condotta su un gruppo di pazienti affetti da patologie neurologiche accolti tra marzo a giugno 2020 nei Centri “Don Gnocchi” di Milano (IRCCS “S. Maria Nascente”) e Rovato (Centro “Spalenza”) per sottoporsi a programmi riabilitativi. Il gruppo comprendeva sia pazienti con infezione da Sars-Cov-2 con sintomatologia lieve, moderata o severa che individui negativi al virus. I pazienti con Covid-19 sono stati sottoposti a prelievo venoso dopo 40-60 giorni dall’esordio dell’infezione e i risultati sono stati confrontati con quelli degli altri pazienti ricoverati in condizioni neurologiche simili, ma risultati sempre negativi ai tamponi».
Il confronto ha evidenziato come nei soggetti colpiti dalle forme più severe di Covid-19 vi fosse la presenza di sottopopolazioni di Natural Killer associate a bassa attività antivirale. Sulle stesse cellule è stata inoltre riscontrata un’elevata espressione di recettori inibitori l’attività.
L'équipe del Laboratorio di Medicina Molecolare e Biotecnologie dell'IRCCS “Don Gnocchi” di Milano
«La minore attivazione delle cellule Natural Killer nei soggetti con decorso severo di malattia con un background genetico di rischio – conclude la dottoressa Saresella - pare quindi suggerire la possibilità di intervenire a supporto dei trattamenti, con nuove strategie terapeutiche in grado di bloccare i recettori inibitori».
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