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Hai voglia mettersi nei panni di una persona con disabilità: non è come dire… Puoi iniziare con una delle autobiografie proposte, esperienze di ascolto delle storie di vita di cinque persone disabili che esprimono attraverso il loro racconto pensieri, sentimenti, gioie, dolori. Puoi perfino far sì che sia ancora più coinvolgente, utilizzando ausili che aiutano ad immergersi nel loro mondo in maniera completa ed emotiva, sedendosi su una carrozzina o bendandosi gli occhi…
Roberto, Fabio e Massimo, tre dei protagonisti delle autobiografie nell'evento "Confine" di Milano
Così le parole di Fabio arrivano dritte come un pugno: «Il mio nome è Fabio perché alla mia mamma piaceva così. Poi la mia mamma mi ha lasciato e la nonna mi ha fatto da mamma e da papà. Certe volte bisogna avere la forza e le ferite piano piano si chiudono. È la forza del cuore. Io mi sono detto: coraggio, Fabio, che ce la farai! E così è stato. Io ho il sorriso puro, spontaneo, sincero, pulito e mi piaccio così. E a tutti dico: non vi buttate giù, che la vita continua!».
Massimo è come se invece invitasse a volare: «Ho chiesto all’educatore Maurizio di parlare per me perché io faccio fatica. Io comunico in altro modo, con gesti e con il tablet e con la voce solo come posso. Mi definisco un poeta e un pittore, quando scrivo e disegno sto bene e sono felice. Per me la libertà sono i miei pensieri e le mie poesie…».
Poi la mazzata finale di Giampaolo: «Io ho superato le mie difficoltà e oggi non ho più paura - dice nella sua autobiografia, sulle note della canzone di Vasco Rossi “Un senso” -. Mi sono fidato e ho fatto miglioramenti non da poco, ma da tanto! Sono felice e questa contentezza mi rallegra. Questa gioia che ho dentro la immagino fresca, come una rosa senza spine, come un girasole, una girandola che messa al vento ruota veloce e si muovono tutti i colori, come i colori dell’arcobaleno…».
Le testimonianze di Fabio, Massimo e Giampaolo - con quelle di Roberto e Simone - hanno accolto i partecipanti all’evento “Confine. Percorsi e sguardi”, promosso dal Servizio socioeducativo del Centro IRCCS “S. Maria Nascente” di Milano della Fondazione Don Gnocchi in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità di sabato scorso.
«Oggi la parola disabilità riporta alla mente il concetto di limite, che a sua volta richiama quello di confine. Il confine, però, non è un limite o un passaggio invalicabile - spiega la responsabile del servizio Elena Morselli - ma piuttosto il luogo in cui la vicinanza prevale. Come ha detto Papa Francesco, il confine rappresenta il luogo di contatto».
Di qui il senso dell’iniziativa, con l’obiettivo di approcciare una nuova modalità di comunicazione e offrire opportunità differenti di riflessione, per immedesimarsi nell’altra persona dando la possibilità a tutti di incontrare un mondo spesso poco conosciuto.
Perché dalle autobiografie puoi visitare anche altri ambienti e vivere differenti esperienze quali “Passi oltre il confine”, una mostra di cinquanta opere realizzate da dieci artisti disabili che indaga proprio il tema del confine. Oppure “Cercami con ogni senso”, un’esperienza immersiva per scoprire quanto per alcune persone sia fondamentale poter comunicare attraverso i cinque sensi. O ancora, “A modo mio”, mostra fotografica che racconta con immagini come persone disabili interpretino a modo loro situazioni di vita quotidiana.
E per un momento di relax, ecco “BARricata”, il bar dove per ordinare non occorre utilizzare la voce, ma strumenti quali tablet, tabelle o comunicatori a disposizione sui tavoli con l’esperienza della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), anche questo con il fine ultimo di “mettersi nei panni di chi ha disabilità”. Al prezzo naturalmente di… fare il giusto silenzio e con il rischio - ahimè - di non riuscire a consumare nulla.
Elena Morselli con i ricercatori dell’Università Bicocca Leonardo Menegola e Matteo Schianchi durante il dibattito-confronto nel corso dell'evento di sabato scorso al Centro di Milano
«Tutto è partito ad inizio anno – continua Morselli - quando alcuni operatori hanno sentito l’esigenza di fermarsi per ripensare il proprio ruolo, con l’ambizione di dare origine a una nuova modalità di approccio al tema della disabilità, coinvolgendo innanzitutto le persone fragili che ne sono al centro, ma anche servizi culturali, cittadini ed istituzioni. Il fine ultimo è quello di promuovere una nuova cultura dei diritti, che nasca dall’incontro e dalla contaminazione fra mondi diversi, che dia forza propulsiva a processi altamente qualitativi di rielaborazione delle esperienze individuali, migliorandole e sviluppandole. Ecco perché è importante, anzi imprescindibile, imparare a percorrere i sentieri che ci mettono in collegamento e in relazione con le persone con disabilità, alla ricerca di segni di pace, in una situazione di guerra non dichiarata e strisciante nei confronti delle differenze».
Giampaolo, Simone, uno scorcio della mostra allestita al Centro di Milano in occasione della Giornata
Un po’ quello che racconta Roberto, certo a modo suo, anche se con parole terribilmente efficaci: «Noi siamo qui e siamo tutti pieni di guai. Io sono fiero del mio nome perché è quello di un guerriero. Io non capisco quelli che hanno occhi e gambe che funzionano a meraviglia e si lamentano: uffa che barba il lavoro, le bollette, il traffico… Se ero normale ero al lavoro anch’io! E invece faccio quel poco che riesco a fare, se cado mi rialzo e vado avanti. Sono così come sono, ma sempre felice e soddisfatto. Perché anche noi disabili possiamo fare tutto, dobbiamo solo capirci».
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