Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Il teatro non è solo metafora della vita, in alcuni casi si confonde con la realtà e in altri ancora è un salvagente per tornare a galla. Così è stato per Elda, 57 anni, una paziente del reparto Gravi Cerebrolesioni Acquisite del Centro IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze. La donna è stata dimessa qualche giorno fa, a due mesi da un bruttissimo incidente stradale. Sulla sua ripresa pochi avrebbero scommesso. «È successo il 23 dicembre – ricorda – ero in motorino in città e qualcuno mi è venuto addosso. Ho picchiato la testa e sono rimasta in coma fino al 17 gennaio; mi hanno detto che per quattro giorni ho avuto l’elettroencefalogramma piatto, cioè avevo attività cerebrale quasi zero. Poi è iniziata la risalita: il 25 gennaio sono arrivata al "Don Gnocchi" e oggi ritorno finalmente a casa sulle mie gambe».
Il suo arrivo al "Don Gnocchi" di Firenze non è stato per niente facile. Elda, non del tutto cosciente e consapevole di quanto stava accadendo, non aveva accettato di buon grado il trasferimento dalla terapia intensiva dell’ospedale di Careggi ad una struttura di riabilitazione.
«Elda era molto impaurita - spiega Camilla Grifoni, medico internista e responsabile del reparto GCA della struttura fiorentina della Fondazione –. A volte succede nel percorso di pazienti con gravi cerebrolesioni: superata la fase acuta, dove lo scopo primario è la sopravvivenza, si entra in una specie di area grigia, dove bisogna ricostruire, ma dove gli esiti sono incerti. La strada della riabilitazione, anche dal punto di vista psicologico, è molto impegnativa, anche per i famigliari; è come trovarsi in una salita molto ripida e in questa fase la collaborazione con la famiglia è fondamentale e nel caso di Elda il supporto del marito è stato essenziale».
La dottoressa Camilla Grifoni e la terapista occupazione Caterina Gabellieri
Nei momenti più difficili è stato Marcello il trait d’union tra la moglie e l’équipe riabilitativa, fino a quando Elda ha accettato la propria situazione e la relazione terapeutica. Ha iniziato non solo a fidarsi di chi la stava curando, ma anche ad affezionarsi: Francesca, la sua fisioterapista di riferimento, Mario l’infermiere, Caterina, la terapista occupazionale, i medici, i ragazzi del servizio civile… È stato un crescendo dove Elda si è affidata alle cure e si è lasciata guidare. E così la salita è diventata più dolce e il suo impegno è stato massimo per raggiungere gli obiettivi del progetto riabilitativo.
L’idea di utilizzare il teatro in forma di terapia è stata di Caterina Gabellieri, la terapista occupazionale del reparto: «Nel mio lavoro la prima cosa è valutare chi hai davanti e capire le attività che possono motivare quella persona e ridare un senso alla sua vita. Elda ci aveva raccontato della sua grande passione per il teatro e così abbiamo pensato di usare questa molla per stimolarla sotto l’aspetto riabilitativo. Ideare e recitare un monologo l’avrebbe costretta a lavorare su diversi aspetti, soprattutto cognitivi, come l’ideazione di un soggetto, la pianificazione, la memorizzazione, la gestione dell’ansia, il mettere insieme la recitazione con la gestualità. Elda ha accettato e affrontato le sue difficoltà, si è sfidata e ha trovato nuove modalità di apprendimento, sperimentando un nuovo ed inaspettato senso di competenza». Così è nato il personaggio di Manola, la protagonista del monologo, un’attrice che deve impersonare una donna che ha avuto un incidente, ha vuoti di memoria, non si sa truccare… «In quel personaggio mi sono rivista e rispecchiata – spiega Elda – ho portato in scena me stessa e, nella finzione del teatro, ho raccontato la mia storia».
A collaborare alla creazione del monologo, alla sua messa in scena e alla ripresa video, che non era certo preventivata, ci si sono messi anche Benedetta Masiero e Marco Matrone che sono gli operatori in servizio civile che in questo momento stanno prestando servizio proprio presso il reparto GCA di Firenze e Julieta Giacani, anche lei terapista occupazionale.
Ora per Elda, che proseguirà la riabilitazione in Day Hospital, è finalmente arrivato il giorno del rientro a casa: «Voglio rivedere i miei figli, li voglio stringere e stare con loro, riprendere possesso della mia casa, uscire, fare una passeggiata: ho voglia di tornare alla normalità e spero di tornare presto a recitare. A chi sta facendo il mio percorso vorrei dire di fidarsi di questi operatori: sono persone che fanno un lavoro prezioso e difficile, ma lasciandosi guidare da loro, sanno perfettamente come riportare sulla strada giusta, col cuore, non solo con le competenze tecniche. Perché la riabilitazione inizia dal cuore».
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