Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
«Vorrei una macchina del tempo per tornare indietro a prima dell’incidente». È trascorso un anno dallo schianto che ha sconvolto la vita di Gabriele e della sua famiglia e sembrano lontani i giorni del suo ricovero nel reparto di riabilitazione per pazienti con Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) dell'IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze, quando la sua vita sembrava una salita impossibile.
Gabriele ha 23 anni, vive in provincia di Firenze, è diplomato e lavora nel bar gestito dalla madre e dallo zio. Ha grandi progetti per il futuro: vorrebbe tornare a fare l’animatore in un villaggio turistico all’estero, come già successo qualche anno fa, sviluppare l’impresa di famiglia… Sogni che hanno rischiato di infrangersi in una frazione di secondo contro un palo: un banale sorpasso a 50 all'ora, l’uscita di strada in sella alla moto e il terribile impatto.
Gabriele con alcuni operatori del reparto GCA il giorno delle dimissioni e (a destra) con la logopedista Irene
«Mi hanno detto che sono stato in tre ospedali, ma non ricordo quasi nulla – racconta Gabriele -. Ero in coma farmacologico, poi pian piano hanno diminuito la sedazione e quando mi hanno stabilizzato sono stato trasferito al "Don Gnocchi" per il percorso riabilitativo. Qui mi hanno rimesso in piedi e ho ripreso a vivere».
«Quando Gabriele arrivò da noi – ricorda Camilla Grifoni, responsabile medico del reparto GCA dell'IRCCS fiorentino – si presentò subito come un caso molto complesso, anche se in genere i pazienti giovani post traumatici hanno tempi di recupero molto veloci. L’incidente era successo a fine luglio e da noi è arrivato il 17 settembre: era vigile, ma abulico; parlava pochissimo, non aveva la cognizione del tempo, rispondeva a comandi molto semplici, aveva un’ipostenia diffusa, grande difficoltà nei movimenti e una frattura scomposta al femore sinistro e a tibia e perone. Respirava attraverso la cannula e veniva alimentato tramite peg. C’era da lavorare tanto dal punto di vista comportamentale e cognitivo, oltre che motorio, però da subito Gabriele si è impegnato tantissimo, nonostante momenti di sconforto e depressione che lo assalivano quando prendeva consapevolezza della sua condizione».
Non è facile per un ragazzo di vent'anni accettare una situazione simile e vedere il proprio futuro come un'incognita. Intorno a Gabriele ha però preso corpo una rete di aiuto che si è rivelata la carta vincente per uscire dal tunnel. Prima di tutto la famiglia: pur nelle limitazioni imposte dalla pandemia, i genitori e il fratello sono stati da subito collaborativi e presenti. Si è instaurato un dialogo proficuo con l’équipe riabilitativa e hanno svolto benissimo la loro parte di aiuto e supporto, cercando di essere presenti ogni volta che le condizioni lo consentivano.
Gli operatori del reparto per pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite dell'IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze
Poi la squadra dei riabilitatori: «Tutti gli operatori – sottolinea Camilla Grifoni – dalla fisioterapista Roberta, alla terapista occupazionale Caterina, alla logopedista Agnese, al neuropsicologo Marco, alla neurologa Anna Maria hanno riunito sforzi e competenze e hanno lavorato in grande coordinamento, come una grande orchestra».
Nel percorso riabilitativo anche la robotica ha giocato un ruolo rilevante per il recupero della manualità e della forza negli arti superiori.
Anche Marco e Benedetta, che in quei mesi svolgevano il servizio civile, hanno avuto per lui un ruolo importante: «Gabriele aveva bisogno di compagnia - ricordano -, di stare con persone della sua età, di parlare, di ascoltare musica, di essere stimolato il più possibile. Tra l’altro, in quel periodo c’erano diversi giovani come lui ricoverati in reparto e si era creato un bel gruppo con cui facevamo tante attività insieme”.
Tutti si ricordano ancora di quel gruppo di giovani “post traumatici”: “Ricordo bene quei ragazzi – racconta ancora Camilla Grifoni (nella foto sotto a destra) – e Gabriele si distingueva dagli altri, perché era quello che li incitava ad impegnarsi di più; li esortava a non mollare e lui stesso era un esempio di quanto si potesse migliorare con l’impegno e la tenacia».
«Oggi posso dire di essere ritornato alla mia vita di prima – confida Gabriele, che nel frattempo, dopo le dimissioni, ha proseguito la logopedia in regime di Day Hospital -. Ho ripreso il lavoro e i ritmi di un tempo: non è una passeggiata, ma ce la posso fare. Ci sono stati momenti difficili, ma anche momenti belli, come quando il mio “angelo custode” Roberta, la fisioterapista, mi ha rimesso per la prima volta in piedi. L’incidente mi ha fatto capire che la vita può cambiare o addirittura finire in un secondo, ma che è necessario lasciare indietro le esperienze negative per guardare sempre avanti. Ho imparato ad avere fiducia nelle persone, perché mi possono dare speranza e forza, proprio come la mia famiglia mi è stata sempre vicina. Qui ho imparato a non mollare mai e, grazie alle persone che vi lavorano, a trovare la forza e il coraggio di reagire e di rialzarmi».
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