Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Migliorare la presa in carico, la cura e la gestione riabilitativa post operatoria di pazienti con frattura del femore, grazie a procedure che consentono al team multidisciplinare coinvolto di cogliere e far fronte con efficacia alla complessità dei casi nei vari aspetti clinici, sociali, cognitivi e funzionali: è questo l’obiettivo del Percorso Diagnostico-Terapeutico-Assistenziale (PDTA) messo a punto in Fondazione Don Gnocchi, a garanzia di un approccio assistenziale uniforme e omogeneo in tutte le strutture del Paese, in linea con le raccomandazioni ottenute dalle migliori evidenze scientifiche.
Il protocollo è rivolto a tutti pazienti di età superiore ai 65 anni che hanno subito fratture di femore prossimale ed è applicabile a coloro che sono stati sottoposti a intervento incruento o cruento di impianto di protesi d’anca o osteosintesi, che necessitano di trattamento rieducativo in regime di degenza.
Il percorso individua la sequenza temporale e spaziale degli interventi, definendo con precisione i professionisti da coinvolgere, le procedure e le raccomandazioni da adottare, dall’ammissione in riabilitazione intensiva fino alle dimissioni, al fine di promuovere il raggiungimento del massimo livello funzionale, il reinserimento sociale, familiare e lavorativo e la migliore qualità di vita possibile.
«Abbiamo iniziato ad elaborare precise procedure operative per pazienti con fratture di femore già nel 2018 – spiega la dottoressa Irene Aprile, neurologa, direttrice del Dipartimento di Riabilitazione Neuromotoria della Fondazione – attivando un confronto tra fisiatri, geriatri, neurologi e igienisti, supportato da una rigorosa ricerca bibliografica delle raccomandazioni presenti nelle linee guida. Abbiamo poi costituito dopo la pandemia un gruppo di lavoro multiprofessionale rappresentativo di tutti i Centri “Don Gnocchi”, che ha lavorato al PDTA con il prezioso supporto metodologico del GIMBE».
Il risultato è un percorso della durata di circa 25 giorni, con le dovute eccezioni legate al quadro clinico generale e specifico.
«Non meno importanti – aggiunge la dottoressa Aprile – sono le informazioni da trasmettere ai familiari o ai caregiver, che devono essere coinvolti e addestrati alla gestione delle problematiche sanitarie, sociali o lavorative conseguenti alla disabilità e allo svantaggio temporaneo del post-intervento».
Le fratture di femore nelle persone anziane sono un evento grave, con un impatto significativo sulla loro qualità di vita e ricadute considerevoli in termine di salute pubblica. Uno studio realizzato negli Stati Uniti rivela che ogni anno vengono trattate 250 mila fratture di femore nei pazienti con più di 65 anni, con una proiezione per il 2040 pari al doppio. L’Italia è tra i Paesi con più casi, con un’incidenza di oltre 300 fratture l’anno su 100 mila abitanti per le donne e oltre 150 per gli uomini.
Dato il progressivo invecchiamento della popolazione, la situazione è destinata ad aggravarsi, con notevoli incrementi di spesa per il Servizio Sanitario Nazionale. Già oggi è dimostrato che incidenza e costi delle fratture di femore negli anziani in Italia sono paragonabili a quelli relativi all’infarto del miocardio, senza dimenticare che ciò che pesa di più sono gli ulteriori costi sociali derivanti dalla comparsa di nuove comorbilità, sarcopenia, disabilità e mortalità.
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