Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
In Italia andrebbe creato quanto prima un “Servizio nazionale per la non autosufficienza”. Lo suggerisce il Rapporto “Anziani e disabili: un nuovo modello di assistenza”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con CESC-Università degli studi di Bergamo, CRISP-Università degli studi di Milano, Politecnico di Milano e Università degli studi di Parma, con la partecipazione della Fondazione Don Gnocchi e della Fondazione Sacra Famiglia.
Il rapporto è stato presentato al Montecitorio Meeting Centre di Roma, alla presenza di rappresentanti istituzionali, operatori ed esponenti del mondo del sociale, tra cui il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, il presidente dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà Maurizio Lupi, il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo, il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, il presidente e il direttore generale di Fondazione Don Gnocchi, don Vincenzo Barbante e Francesco Converti, e della Fondazione Sacra Famiglia don Marco Bove e Paolo Pigni.
Un momento della presentazione del Rapporto al Montecitorio Meeting Centre di Roma
Secondo lo studio, l’Italia destina all’assistenza di anziani e disabili risorse insufficienti, pari al 2,2 per cento del prodotto interno lordo, contro il 3,5 per cento dei Paesi Ocse più sviluppati e molto meno di Germania (4,5), Gran Bretagna (4,3) e Francia (4,1). Il Rapporto evidenzia il ruolo chiave del non profit, che copre metà dell’offerta di posti letto per anziani e disabili (49 per cento), rispetto al 42 per cento di dieci anni fa. Cresce anche il privato, ora al 26 per cento, mentre il settore pubblico è sceso dal 30 al 25 per cento. La ricerca segnala la necessità di istituire un “Servizio nazionale per la non autosufficienza", con l’obiettivo di superare l’attuale frammentazione degli interventi, puntando a mettere in campo un sistema integrato, con un fondo nazionale e un unico canale di accesso.
«L’attenzione del Governo Draghi e del ministero della Salute verso i bisogni di anziani e disabili risulta alta e costante – ha affermato Andrea Costa, sottosegretario alla Salute -. Lo è stata in particolar modo durante questa emergenza sanitaria ed economica. Insieme al generale Figliuolo, nell’organizzazione della campagna vaccinale prima e con la terza dose poi, abbiamo inserito questi soggetti fra le categorie prioritarie da proteggere e tutelare. Mi sono fortemente battuto per permettere ai parenti di ospiti delle RSA di tornare a salutare e abbracciare i propri cari nelle strutture, consapevole che l’affetto di un familiare sia la migliore cura».
«La conferenza Stato-Regioni - ha poi annunciato Costa - ha appena deliberato un incremento di 20 milioni del “Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”. Molti però sono i passi ancora da compiere: il Pnrr sarà l’occasione, che non possiamo perdere, per investire sulla prossimità e sull’assistenza domiciliare. Sarà necessario rafforzare i servizi sociali territoriali, promuovendo una collaborazione sinergica, un’integrazione strutturata, tra associazioni del terzo settore e il Servizio Sanitario Nazionale. Va consolidata questa rete di solidarietà che conosce le problematiche dei diversi territori e sa come intervenire efficacemente per rispondere ai bisogni della popolazione fragile».
Con 13,8 milioni di anziani, la Penisola ha uno dei livelli più elevati al mondo di popolazione con oltre 65 anni, circa il 23 per cento (20 per cento nell’Unione Europea). Una quota destinata a salire. I disabili con gravi limitazioni nelle attività abituali sono circa 3 milioni e 100 mila, il 5,2 per cento della popolazione. La spesa per il “long term care” (LTC) è in Italia circa lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo, la metà rispetto ai paesi Ocse (1,5), e molto inferiore rispetto ai maggiori partner europei, come Francia (2,4), Gran Bretagna (2,4) e Germania (2,2). Gli interventi per il supporto ai disabili rappresentano circa l’1,8 per cento del prodotto interno lordo del Belpaese, contro la media del 2 per cento nell’Ocse. In questo caso siamo in linea con Francia (1,7) e Gran Bretagna (1,9), ma lontani dalla Germania (2,3).
«Il Rapporto presentato oggi – ha sottolineato don Vincenzo Barbante, presidente della Fondazione Don Gnocchi - ci invita a considerare l’importante contributo offerto in ambito socio-sanitario dal mondo non profit di ispirazione cristiana. Un mondo che, nel disegnare i futuri scenari di un’assistenza capace di rispondere ai bisogni di cura, attende di essere valorizzato per l’esperienza e i servizi che può offrire al Paese in un rinnovato spirito di sussidiarietà. Realtà come le nostre svolgono funzioni di grande importanza e direi essenziali, che chiedono di essere valorizzate e prese in maggiore considerazione a tutti i livelli».
Durante il dibattito è stato rimarcato da più parti come questo scenario ponga oggi sfide cruciali che richiedono maggiori risorse e una riorganizzazione delle attività. Da qui l’esigenza di ripensare il sistema, mettendo in rete i servizi, valorizzando il ruolo dei medici di base e del volontariato, oltre a rafforzare l’assistenza domiciliare e nel contempo rendere le residenze (RSA) luoghi più accoglienti. Occorrono - si è detto - strutture a bassa intensità di cura, ma anche ad alta intensità ed è necessario integrare i servizi territoriali con l’assistenza sanitaria, superando la loro frammentarietà e standardizzazione.
Concetti sui quali ha insistito anche l’onorevole Maurizio Lupi: «In Italia per l’assistenza ad anziani e disabili dobbiamo coniugare due principi: quello del welfare universalistico che contraddistingue il nostro Paese e quello della valutazione dei risultati come criterio per l’erogazione di risorse. Non è più tempo di alternative ideologiche pubblico-privato, ricovero-cure domiciliari. Quello che conta è la qualità e l’efficacia del servizio, chiunque lo offra».
Osservando l’offerta – è uno dei rilievi del rapporto FPS – si nota come sia opportuno superare i pregiudizi sulla natura degli enti (pubblico, privato, non profit), per concentrarsi invece sulla valutazione di qualità, efficacia ed efficienza del servizio. Da qui il suggerimento di coinvolgere chi opera sul campo e offre un contributo essenziale nel ridisegnare i modelli di cura.
«In particolare – ha sottolineato il direttore generale della Fondazione Don Gnocchi, Francesco Converti – è importante che il mondo non profit che svolge un servizio pubblico, sia maggiormente coinvolto dall’ente pubblico nella fase di programmazione degli interventi. A maggior ragione oggi, mentre si discute di come allocare le grandi risorse messe a disposizione del PNRR, per valutare insieme quello che già c’è e dove invece investire per rispondere meglio ai bisogni delle vecchie e nuove fragilità, superando la logica attuale dei requisiti di accreditamento che si basano sulle singole prestazioni erogate, ma andando piuttosto verso interventi che tengano conto dell’evoluzione delle condizioni di fragilità dei pazienti, per meglio rispondere ai loro progetti di vita».
«Nel panorama degli enti che offrono questo tipo di servizi __esistono delle eccellenze__ – ha rimarcato in chiusura Giorgio Vittadini -, alcune delle quali affondano le loro radici nella storia dei territori a cui appartengono, come la Fondazione Don Gnocchi e la Fondazione Sacra Famiglia, il cui operato viene approfondito nel volume che presentiamo oggi. E ce ne sono di nuovi che si sono affacciati sulla scena solo negli ultimi anni. A prescindere dall’origine di queste istituzioni, occorrerebbe non smettere di porsi queste domande: chi risponde meglio al bisogno dei soggetti fragili? E perché? Quali fattori di successo spiegano la soddisfazione dell’utente? Quali esperienze mostrano una migliore allocazione delle risorse? E chi è più attento all’investimento in capitale umano? Anche il presente lavoro rileva, infatti, come la capacità di assistere non sia frutto solo degli investimenti nell’hardware, ma dipenda per lo più da qualità umane e relazionali oltre che professionali. Da quanto detto, emerge il ruolo dell’ente pubblico che, con la sua capacità di programmare e valutare in modo imparziale, deve sostenere la possibilità per le diverse strutture di perseguire al meglio i loro obiettivi di cura. In una parola, deve garantire che le migliori energie nella cura e nell’assistenza vengano valorizzate e messe a sistema. In modo che si possa continuare ad assicurare quel welfare universalistico, frutto di tante battaglie e sacrifici compiuti per una società più umana».
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