Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
«La perdita e la malattia non sono mai momenti facili in una famiglia». Inizia così la lettera di Cristiano agli operatori del reparto di riabilitazione per pazienti con Gravi Cerebrolesioni Acquisite del Centro IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze, che per tre mesi hanno curato e accudito la madre.
«Quando ad agosto del 2022 papà ebbe un'emorragia che lo portò in ospedale – racconta Cristiano – entrammo nel girone dantesco della sanità, fatto di visite di 30 minuti al giorno di un singolo familiare ai parenti ricoverati, dimissioni con infezioni in corso e conseguente riospedalizzazione, faticose telefonate con i medici e trasporto a casa dove, completamente abbandonati, ci siamo trovati a dover improvvisare tutto, dallo sbriciolare pasticche che non venivano inghiottite, al lavarlo, nutrirlo…»
«In questo dramma anche mamma, che aveva 82 anni, iniziò a star male: era strana, deperita, quasi catatonica… Per il medico di base si trattava solo di depressione, mentre per il geriatra, stava addirittura benissimo e non c’era di che da preoccuparsi».
L'équipe del reparto per gravi cerebrolesioni del Centro IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze
Dopo l'estate, però, la mamma peggiora: ipercalcemia, pressione altissima, fino al coma.
«Il 25 settembre papà ci lascia - prosegue la lettera - mentre mamma è in terapia intensiva all’ospedale di Careggi (Firenze), dove i medici cercano di capire con infinite analisi che cosa stia succedendo. E lì rimane fino a fine ottobre».
Dimessa dalla terapia intensiva e stabilizzata, alla donna viene suggerita una struttura specializzata per il trattamento di pazienti con gravi danni neurologici.
«A inizio novembre 2022 mamma viene trasferita al Centro IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze: non muoveva il braccio destro e poco la gamba destra. Interagiva con noi figli ma non eravamo sicuri che ci riconoscesse. Non poteva parlare per via della tracheostomia per respirare ed era alimentata con la Peg. Dopo due settimane di controlli e valutazioni, io e mia sorella siamo stati convocati dall'équipe del "Don Gnocchi" per un incontro con i sanitari al fine di discutere il progetto riabilitativo: un’intera squadra medica a servizio di mamma. Ci spiegano che cosa le era accaduto, qual'era la situazione a quel momento e che cosa fosse realistico aspettarsi come recupero. E ci è stato anche offerto un supporto psicologico per la dolorosa comunicazione che dovevamo darle riguardo a papà. Ma usciti da quella stanza per la prima volta ci siamo sentiti sollevati, con la consapevolezza di non essere più soli».
«La presa in carico di una paziente complessa come la mamma di Cristiano – spiega Camilla Grifoni, referente medico del reparto di riabilitazione GCA del Centro "Don Gnocchi" di Firenze, di cui è responsabile medico il professor Claudio Macchi (entrambi nella foto sopra a sinistra) – richiede necessariamente il coinvolgimento nel progetto riabilitativo anche dei famigliari. In questi casi parliamo infatti di “triangolo riabilitativo” dove i soggetti sono il paziente, il team di riabilitazione e la famiglia. Questa alleanza terapeutica aiuta il lavoro di noi clinici, agevola il percorso della paziente, ma è di aiuto anche ai famigliari che si sentono più sereni e pronti a gestire il rientro a casa del proprio congiunto».
«Grazie alla riabilitazione e al lavoro con la logopedista – prosegue nel suo racconto Cristiano – mamma ricomincia a parlare e piano piano rifiorisce. Lavora con entusiasmo, perché vuole riprendere a camminare ed essere autonoma. Ogni volta che la vado a trovare vedo le infermiere e le OSS che hanno sempre una parola o un gesto gentile per lei: le cure sono importanti, ma credo che una parte significativa della sua ripresa si debba all’ambiente che ha trovato e in cui si è sentita protetta. In poco tempo con l’aiuto dei fisioterapisti mamma si è rimessa in piedi e ha cominciato a camminare con il “rollator”, facendo anche ginnastica tutti i giorni con le parallele e sulle scale».
Pian piano i medici iniziano a verificare la possibilità di nutrirla in modo naturale, con un’infermiera che la affianca costantemente ai pasti per evitare ogni rischio di soffocamento.
«In un paio di mesi mamma è di nuovo in piedi e mangia da sola, anche la chiusura della tracheostomia è stata fatta direttamente al "Don Gnocchi". Dopo il passaggio in un altro reparto, tra pazienti più autonomi - conclude Cristiano - mamma è finalmente tornata a casa: c’è ancora tanto da fare ma siamo felici e riconoscenti al personale della Fondazione Don Gnocchi che abbiamo incontrato in questo difficile cammino».
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