Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Avrebbe compiuto oggi cent'anni. Ed è ancora vivo, in Fondazione, il ricordo di Eugenio Corti (nelle foto), scrittore e saggista, scomparso nel 1994 nella sua casa di Besana Brianza. Grande amico di don Gnocchi, lo aveva ampiamente ricordato nel suo capolavoro “Il cavallo rosso”. Un legame nato in terra di Russia durante la seconda guerra mondiale e rinsaldato al rientro in Italia, con la celebrazione da parte di don Carlo delle nozze tra lo stesso scrittore e la moglie Vanda.
Così Corti ricordava quel giorno, in una memoria pubblicata dalla rivista Missione Uomo.
Eugenio Corti e - a fianco - il matrimonio ad Assisi celebrato da don Gnocchi
Non posso rievocare un Santo dei nostri giorni, senza ricordare il nostro ultimo vero incontro, che ebbe luogo nel maggio 1951, ad Assisi, la sera della vigilia del mio matrimonio. Malgrado la mia abissale indegnità, noi eravamo buoni amici: perciò, tenendo fede a una sua vecchia promessa (“Alura, quand l’è che te spusi?”, mi domandava ogni volta che ci vedevamo), don Carlo aveva trovato modo, nonostante i suoi innumerevoli impegni, di venire ad Assisi a benedire le mie nozze.
Definisco quello “vero incontro”, perché non fu frettoloso come altri precedenti, e poi - crescendo sempre più la sua attività - tutti quelli successivi, fino alla sua morte. Quella limpida sera di maggio, infatti, ci fu possibile parlare a lungo come una volta, passeggiando in serenità fin dopo mezzanotte per le vie medievali e piene di fascino di Assisi.
Eravamo in quattro: don Carlo, il sottoscritto e due testimoni al matrimonio. Ricordo ancora, in parte almeno, quei discorsi che l’amicizia e l’ambiente rendevano straordinariamente suggestivi, tanto che non avremmo mai voluto interromperli. Don Carlo ci riferiva certi suoi progetti, che gli stavano molto a cuore, per le bambine mutilate. Tra l’altro voleva mandare quelle che avevano i visini più straziati a Parigi, presso un celebre istituto di plastica facciale: “Perché io voglio che le mie bambine crescano senza complessi. Le voglio tutte belle”.
Il mio amico Mario Bellini, che sarebbe poi diventato un personaggio di primo piano nell’ambiente umbro, ma allora era un ragazzo come me, sollecitato forse dal nastrino della medaglia d’argento che don Carlo portava al petto (anche Mario lo portava e, modestamente, anch’io), raccontò il caso di un altro cappellano particolarmente eroico, don Enelio Franzoni di Bologna, il quale sotto i suoi occhi, quando davanti alla terrificante valanga russa si era dovuta sgombrare una posizione, non aveva accettato di ritirarsi: era voluto rimanere sul posto coi feriti intrasportabili per sostenerli nel momento più crudele.
Quanto a me, parlai ripetutamente delle possibilità culturali del mondo cattolico, le quali, in seguito alla ancora recente grande vittoria elettorale del ’48, mi sembravano allora straordinarie: era la mia “fissa” in quegli anni. Don Carlo mi ascoltava sorridendo con la sua solita, dolce bontà: da quel formidabile realizzatore che era, doveva trovarmi un po’ troppo poeta, tuttavia il suo amichevole sorriso m’invitava a non desistere: dopo tutto, Iddio può cavare del buono anche dai poeti.
Il giorno seguente, appena terminata la cerimonia e la Messa in S. Damiano, giunse una telefonata per don Carlo: occorreva urgentemente la sua presenza nel collegio delle mutilatine di Firenze. Egli fu perciò costretto a interrompere quella vacanza di poche ore: consultato in gran fretta l’orario ferroviario, partì in gara col tempo per la stazione di Terontola (ve l’accompagnò, con la macchina più veloce di cui disponevamo, un altro degli ormai scomparsi personaggi del mio romanzo: l’autista Celeste).
Cinque anni più tardi, negli ultimi giorni di agonia, don Carlo si rivolse più di una volta alla Morte con le parole di San Francesco: “Vieni, sorella Morte, vieni”. Quando l’appresi, non potei trattenere le lacrime perché pensai che forse gli erano tornate nella mente quelle poche ore di pace trascorsa ad Assisi. Piango anche adesso, mentre ne scrivo.
Eugenio Corti in Russia e - accanto - la copertina del suo capolavoro "Il cavallo rosso"
Nato a Besana Brianza il 21 gennaio 1921, Eugenio Corti indossò l’uniforme da soldato nel 1940 quando l’Italia entrò in guerra. Da sottotenente d’artiglieria venne destinato, su sua richiesta, al fronte russo che raggiunse nell'estate del '42. Visse con don Gnocchi l’esperienza drammatica della ritirata, più volte ripercorsa nei suoi scritti.
Si laureò in Giurisprudenza nel 1947 e nello stesso anno pubblicò "I più non ritornano", seguita da "I poveri cristi". Ne seguirono molti altri, tra i quali la sua opera magna, "Il cavallo rosso": tre volumi e 34 anni di storia italiana, dalla vigilia dell’entrata in guerra al referendum abrogativo del divorzio.
Cavaliere al merito della Repubblica italiana, fu insignito anche della medaglia d’oro ai benemeriti della Cultura e dell’Arte, del Premio internazionale Medaglia d’oro al merito della Cultura cattolica e dell’Ambrogino d’oro. Nel 2010 è stata presentata la proposta di candidarlo al Premio Nobel per la Letteratura, con mozione approvata da Consiglio Provinciale e Regionale e migliaia di firme raccolte.
Si è spento il 4 febbraio 2014, nella storica villa di famiglia di Besana Brianza.
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