Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
“Milano 25”, il suo taxi, è come la borsa di Mary Poppins, ci trovi di tutto, e lei stessa sembra uscita da un film di Walt Disney; è di un’allegria contagiosa, si autodefinisce un’umanizzatrice di cure ed è stata persino insignita dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel marzo 2023, “per la generosità nel donare serenità ai bambini malati e alle loro famiglie”. Lei è Caterina Bellandi (nella foto), ma tutti a Firenze la conoscono come Zia Caterina, ed è stata di recente paziente del reparto di riabilitazione pneumologica dell’IRCCS "Don Gnocchi" del capoluogo toscano.
Sindrome da anticorpi antisintetasi, questa la patologia che le è stata diagnosticata, una malattia autoimmune molto rara che attacca i polmoni e che colpisce mediamente dalle 5 alle 7 persone per milione: «Mi sono spaventata – racconta – perché questa malattia mi affatica molto, mi fa mancare il respiro e non mi consente di fare tutto quello che di solito faccio. Sento che mi manca l’ossigenazione, si annebbia tutto e devo fermarmi e riprendere fiato. Quello che è certo che non potrò più essere operativa come prima, ma dovrò trovare una dimensione giusta per mantenermi sempre “accesa”».
«Si tratta di una patologia – spiega Francesco Gigliotti, medico pneumologo e responsabile del reparto di riabilitazione respiratoria dell’IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze, dove Caterina è stata ricoverata – che ha prodotto un’alterazione del polmone a livello dell’interstizio polmonare. Si tratta di una forma di infiammazione che colpisce la zona dei nostri polmoni deputata allo scambio gassoso, cioè al trasferimento dell’ossigeno dagli alveoli al sangue. Il polmone diventa inoltre più rigido per cui ogni atto respiratorio è più faticoso e questo provoca affanno: basta uno sforzo anche minimo e subito si avverte la difficoltà respiratoria».
Il dottor Francesco Gigliotti e i terapisti della riabilitazione respiratoria dell'IRCCS "Don Gnocchi" di Firenze
La sindrome da anticorpi antisintetasi è una patologia autoimmune la cui causa è sconosciuta; è una patologia sistemica in cui il polmone viene coinvolto molto frequentemente e per la quale non esiste un trattamento standardizzato. Viene diagnosticata attraverso l’esame TC del torace, l’eventuale biopsia polmonare e il riscontro di anticorpi antisintetasi.
«Caterina da noi ha seguito un trattamento riabilitativo – aggiunge il dottor Gigliotti – finalizzato a ridurre l’affanno e migliorare la tolleranza all’esercizio fisico. Quando sentiamo il respiro affannoso siamo portati a fermarci e a non fare nulla, ma in condizioni patologiche come queste, più si sta fermi, più l’affanno si aggrava innescando un circolo vizioso che conduce progressivamente all’inattività. La riabilitazione, in queste malattie, consiste nel sottoporre la persona ad un’attività controllata di allenamento e ricondizionamento fisico in modo da mantenere un buon livello di performance fisica e limitare il livello di disabilità. In questi casi, in una struttura specialistica di riabilitazione, questa attività viene attuata sotto costante monitoraggio clinico. Lavoriamo quindi su due binari: il controllo della funzione respiratoria e gli aspetti extra polmonari, cioè la disfunzione muscolare e quindi la riduzione dell’attività fisica che la malattia ha intaccato, cercando di restituire alla persona la maggiore autonomia possibile».
Zia Caterina non è stata però una paziente come tutti gli altri: mai in camera, appena si liberava dalle terapie girava per la struttura con palloncini e gadgets, per fare compagnia e portare allegria agli altri pazienti: «Questo è un posto bellissimo, dentro e fuori – commenta – una struttura straordinaria, un luogo di luce, dove mettere in atto questa umanizzazione delle cure in cui credo molto. Qui davvero paziente e operatore possono “accendersi” reciprocamente e creare una relazione di mutuo soccorso e di aiuto reciproco. Per questo, va dato massimo supporto a chi vi lavora: sono in trincea, fanno una missione, non solo un lavoro, anche se ti servono un pasto o un caffè o ti fanno l’emogasanalisi. È vero, non stavo mai ferma e mi affaticavo, ma ero ripagata dall’affetto delle tante persone che incontravo. Un giorno mi sono veramente commossa quando sono venuti a trovarmi alcuni bambini del Meyer e ci siamo incontrati con altri bambini che erano ricoverati nella pediatria del "Don Gnocchi": una bellissima sorpresa».
Come Caterina Bellandi è diventata Zia Caterina? Originaria di Prato, per diversi anni ha lavorato in un ufficio. Nel 2001 la svolta con la morte di Stefano, l’amato compagno di una vita e autista del taxi “Milano 25” di cui lei stessa diventa ad un certo punto conducente e destinato a diventare qualcosa di più di un mezzo di trasporto, ma un luogo di empatia e amicizia: «Volevo rimanesse un segno del cammino accanto a Stefano – ricorda – e così il suo taxi si è colorato ed è diventato motivo di speranza. Mi sono trovata catapultata in una vita straordinaria accanto a persone sempre nuove, per cui una corsa in taxi era un’esperienza di vita, a volte dolorosa. Se si riesce a creare quella giusta empatia, nasce qualcosa di bello. Così ho iniziato ad accompagnare in ospedale le persone che dovevano fare le terapie ed erano in difficoltà: le persone si raccontano, si aprono e così si crea il miracolo, io mi sento viva, mi accendo e resta un segno intangibile dentro l’anima di entrambi».
Nel 2002 l’incontro con Barbara e Paolo Bacciotti: salgono sul suo taxi, lei non li conosce ma da loro apprende la storia del figlio Tommasino, stroncato precocemente da un tumore cerebrale, e di quanto hanno messo in piedi con la Fondazione intitolata proprio a lui. Così la missione di Caterina decolla definitivamente e lei, che non ha figli, diventa la zia colorata e un po’ pazza di tanti bambini che si recano all’Ospedale Meyer per le cure e il suo taxi, dello stesso modello dei famosi “black cabs” londinesi, si riempie di giochi e pupazzi, come una sala giochi ambulante.
«I bambini nella sofferenza – aggiunge – ci insegnano molto nella loro spontaneità: sono empatici e ci danno forza con la loro innocenza e la loro assenza di giudizio».
E poi, quasi a citare don Gnocchi: «Il loro dolore ci salva». A sostenere Caterina e a darle forza c’è anche una fede profonda che l’ha portata a diventare Oblata Benedettina e a fare sue le parole di un’altra Caterina, la Santa di Siena: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo».
Dimessa dalla degenza, Caterina proseguirà per un certo periodo il percorso riabilitativo a livello ambulatoriale e poi la rivedremo molto presto nei reparti del "Don Gnocchi" di Firenze, insieme al suo taxi parcheggiato fuori come nei giorni del suo ricovero, in veste di volontaria per continuare a portare sorrisi, allegria e vicinanza ai tanti pazienti, piccoli e grandi.
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