Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Due vite che profumano di Vangelo. Due sacerdoti che hanno saputo dimostrare con le parole e con le opere come la vita spirituale non sia distanza dalla realtà, ma immersione in essa. Due uomini che hanno saputo realizzare pienamente la propria vocazione al sacerdozio e la propria umanità nel donarsi pienamente al prossimo. Due testimoni alla perenne ricerca di Dio, capaci di rivelarlo nei volti delle persone e nei fatti della storia del proprio tempo.
Sono numerosi i tratti comuni della spiritualità di don Luigi Maria Palazzolo, il fondatore della Congregazione delle Suore delle Poverelle che sarà proclamato Santo da papa Francesco domenica prossima, 15 maggio, a Roma e il beato don Carlo Gnocchi. Due carismi che oggi guidano la Fondazione Don Gnocchi attraverso il comune impegno e la collaborazione in atto da quasi venticinque anni all’Istituto “Palazzolo-Don Gnocchi” di Milano.
Luigi Maria Palazzolo nasce il 10 dicembre 1827 a Bergamo. Ultimo di nove figli, godrà ben poco della presenza dei fratelli perché tutti muoiono in giovane età; a dieci anni perde anche il padre.
Così Carlo Gnocchi, originario di a San Colombano al Lambro, presso Lodi, dove nasce il 25 ottobre 1902, vive un’infanzia segnata dal dolore. L’esperienza in tenera età della morte del padre e la successiva scomparsa dei due fratelli lo segnano profondamente.
I due restano con le madri, unico sostegno e rifugio affettivo. Sulle loro ginocchia apprendono i rudimenti della fede cristiana. Al loro seguito imparano a camminare nella via dell’attenzione ai più piccoli, ai poveri e agli ammalati. Al loro esempio si rifanno durante tutto l’arco della loro esistenza, nello stile di vita, nella rettitudine dei comportamenti e soprattutto nella capacità di ascoltare e di cogliere i bisogni degli altri.
Ordinato sacerdote nel 1850, don Luigi lascia le comodità della famiglia per dedicarsi alla cura pastorale degli orfani, dei ragazzi e delle ragazze dei quartieri più poveri della città. A loro offre educazione religiosa, divertimento, scuole serali e festive. Così don Luigi veniva presentato in quegli anni al vescovo di Vicenza: «È uno dei sacerdoti più esemplari, più zelanti, più utili di questa diocesi. Non è un uomo di grande letteratura, ma è santo. Ha un dono particolare per attirare a Dio i fanciulli e amore straordinario alla povertà. Da ricco si è fatto povero, vive poverissimamente e spende quanto può per i poverelli e le poverelle».
Anche il primo incarico di don Carlo, ordinato prete nel 1925, è quello di assistente d’oratorio, prima a Cernusco sul Naviglio e poi a Milano, dove si fa apprezzare per la vulcanica attività e le spiccate doti educative. Poi, nel 1936, la nomina a direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
La loro opera educativa passava anzitutto attraverso una presenza assidua e attenta alla vita dei ragazzi, consapevoli che in una società sempre più complessa occorreva puntare alla formazione delle coscienze, favorendo lo sviluppo di un’intelligenza critica e di atteggiamenti quali la carità, la sobrietà, la responsabilità, il dono di sé. Ai ragazzi e ai giovani insegnavano che l’autentica ricchezza umana consiste nell’apertura gratuita all’altro, nella condivisione di ciò che si è e di ciò che si ha per aiutare le persone a passare dal pianto alla gioia, dalla solitudine alla fraternità, dall’indifferenza alla condivisione, dal dominio al servizio.
Persuaso di dover affiancare alla gioventù abbandonata delle educatrici esperte, nel 1869 don Palazzolo avvia con Teresa Gabrieli la Congregazione delle Suore delle Poverelle, con case nelle province di Bergamo, Vicenza e Brescia, impegnate a condividere in tutto la vita dei poveri. «L’umiltà toglie ogni timore e invita chiunque ha bisogno di conforto ad entrarvi confidente - amava ripetere in vita -. La semplicità attira i poveri e dà loro sicurezza per aprire il cuore e versare tutte le loro amarezze per sentire i conforti di persone semplici, che sono i conforti più opportuni ed efficaci».
E ancora: «Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io, così come posso».
L’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 e l’urgenza di essere non solo un maestro, ma anche e soprattutto un testimone di vita, spingono don Gnocchi a seguire i suoi ragazzi fino al fronte, come cappellano degli alpini prima in Grecia ed Albania e poi nella drammatica campagna di Russia. Proprio la morte di un giovane alpino tra le sue braccia fa gridare a don Carlo: «Ho veduto il Cristo». Promette in quei giorni, in una lettera al cugino Mario: «Sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un'opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia "carriera”. Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno, perché si tratta di un privilegio».
«Adopera tutti quei modi che la carità di Cristo ti insegnerà»: le parole di don Luigi rivelano come solo l’amore è la strada che porta alla vita. Un amore concreto, che si fa grotta che ripara, abbraccio che fa crescere la vita. Perché amare è occuparsi concretamente dell’altro, qui e ora. È dargli tempo, casa, pane, vestiti, istruzione, salute.
È la Provvidenza a indicare a don Carlo, miracolosamente sopravvissuto all’inferno bianco della ritirata, come impegnare il resto della propria vita: gli orfani di guerra, poi i piccoli mutilati dalle bombe e dalle mine inesplose, infine i poliomielitici, con collegi che in pochi anni aprono in ogni parte d’Italia, dalla Lombardia alla Campania… Non semplici ricoveri, ma luoghi tesi a favorire la maturazione affettiva e intellettuale, ricreativa e occupazionale dei ragazzi, con cure mediche e chirurgiche, istruzione scolastica e formazione professionale. Perché «condividere la sofferenza è il primo passo terapeutico» e «chi riesce a ridonare a un bimbo la sanità, l’integrità, la serenità della vita, non è meno padre di colui che, alla vita stessa, lo ha chiamato per la prima volta».
In don Luigi e don Carlo si è reso limpidamente operante il Vangelo della carità: era l’Eucaristia ad accendere il loro cuore.
«Lo sguardo confidente nel volto di Gesù Crocifisso – ha scritto suor Linadele Canclini, postulatrice della causa di canonizzazione di don Luigi – gli ha cambiato la percezione visiva: ha generato in lui la capacità di vedere il volto di Gesù in ogni sofferente e gli ha offerto la possibilità di guardare il mondo dalla Croce e aprirsi a una reale partecipazione alle sofferenze di ogni essere umano».
Così la vita di don Carlo - fino all’estremo e profetico dono delle cornee quando ancora in Italia il trapianto degli organi non era regolato dalla legge – è stata segnata dall’avida e insistente ricerca del volto di Dio sulla terra: «E mi è parso di veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi; trasparire opaco nel pallido e stanco sorriso dei vecchi. Ho cercato di cogliere l'accento della sua voce nel discorso dolente e uguale dei poveri e degli afflitti e mi è sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo fatale dei morenti».
Perché, a quelli che lo capiscono veramente, «Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono ed hanno bisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo, e il Vangelo, non comanda altro. Tutto il resto vien dopo e vien da sé».
Don Palazzolo muore poverissimo tra i poveri il 15 giugno 1886. Ancora oggi le Suore delle Poverelle proseguono l’Opera in Italia e all’estero in tutti i rami dell’educazione, dell’assistenza e del conforto verso i bisognosi. «Ci prepariamo a vivere la proclamazione della santità di don Luigi con cuore largo, come direbbe lui – si legge nell’editoriale della rivista della Congregazione - cercando di renderla un invito a diventare nella nostra vita i “santi della porta accanto”, come ci propone papa Francesco».
Sul letto di morte, che lo vince prematuramente il 28 febbraio 1956, don Carlo si affida invece agli amici che gli stanno accanto. Fedele al suo carisma e al suo mandato (“Amis, ve raccomandi la mia baracca”), la Fondazione che oggi porta il suo nome ne continua l’impegno accanto e al servizio della vita, in Italia e nel mondo, seguendo l’accorato invito che già vent’anni fa le rivolse san Giovanni Paolo II: «Continuate a seguire le orme di questo indimenticabile maestro di vita. Come lui, siate buoni samaritani per quanti bussano alle porte delle vostre case. Il suo messaggio rappresenta oggi una singolare profezia di solidarietà e di pace. Servendo infatti gli ultimi e i piccoli in modo disinteressato si contribuisce a costruire un mondo più accogliente e solidale».
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