Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Quando un genitore deve preoccuparsi se il proprio figlio parla in ritardo? A quale età un bambino deve essere in grado di articolare le prime parole? Difficoltà linguistiche precoci sono un fattore di rischio significativo per lo sviluppo successivo di disturbo primario di linguaggio?
A queste preoccupazioni di tante mamme e papà risponde “Baby Bloom”, il nuovo servizio attivato dal dipartimento di Neuropsichiatria infantile e Riabilitazione dell’età evolutiva coordinato dalla dottoressa Anna Cavallini.
La dottoressa Anna Cavallini (terza da destra) con l'équipe di Npi del Centro IRCCS di Milano
Il percorso – un vero e proprio “parent training” per genitori di bambini di età compresa tra i 18 e i 36 mesi con ritardo di sviluppo del linguaggio – è strutturato in una serie di incontri settimanali, preceduti da una valutazione del neuropsichiatra infantile e del logopedista, nel corso dei quali vengono proposte attività che mamme e papà metteranno poi in atto nel contesto familiare.
Il servizio è attivo a Milano, al Centro IRCCS “S. Maria Nascente” e al Centro “Vismara” della Fondazione Don Gnocchi, con accesso diretto da parte delle famiglie o degli operatori invianti (pediatra di base, educatori dei nidi), scrivendo all’indirizzo mail babybloom@dongnocchi.it.
Oggi in Italia sette bambini su cento in età prescolare presentano disturbi del linguaggio, al primo posto fra i disordini dello sviluppo in età pediatrica. I primi campanelli d’allarme possono essere non utilizzare intorno ai 12 mesi una o due parole come “mamma” o “papà” o non disporre di un bagaglio di almeno 50 parole a 24 mesi.
Intorno ai 12 mesi il bambino
Intorno ai 15-18 mesi il bambino
A 24 mesi il bambino
«Parlare in ritardo è abbastanza comune e riguarda circa il 13-20% dei bambini di due anni - sottolineano Laura Borzaga e Giulia Mantegazza, medici specialisti in neuropsichiatria infantile della Fondazione Don Gnocchi –. La metà dei bambini supera comunque le proprie difficoltà linguistiche e questo spiega perché la raccomandazione di attendere è stata diffusa per anni. Ma questo approccio può generare però altri problemi: in primo luogo, il bambino potrebbe non recuperare completamente il ritardo. Infatti, la presenza di difficoltà linguistiche precoci è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo successivo di un vero e proprio disturbo primario di linguaggio».
Iniziare a parlare tardi può avere inoltre un impatto negativo per il bambino già durante gli anni della prima infanzia.
«Il bambino a volte può sembrare frustrato, introverso o aggressivo proprio perché non ha le parole per esprimere sentimenti o desideri – continuano le specialiste della Fondazione -. Il bambino con difficoltà di linguaggio può inoltre sperimentare difficoltà negli anni della scuola primaria, quando le abilità linguistiche sono fondamentali per il successo scolastico e la socializzazione. La parte difficile è che non possiamo prevedere con precisione quali bambini che parlano tardi svilupperanno abilità linguistiche tipiche e quali saranno in seguito diagnosticati con un disturbo di linguaggio».
Di qui l’importanza di una presa in carico integrata, capace di coinvolgere tutti gli attori del percorso educativo, abilitativo e riabilitativo. È dimostrato infatti che l’input linguistico e lo stile comunicativo dei genitori hanno un ruolo cruciale nello sviluppo delle abilità comunicative dei propri figli.
Così, attraverso una piacevole attività di “lettura” condivisa, mediata da un logopedista, i genitori potranno essere i protagonisti di un intervento precoce, breve ed efficace, che cambierà la traiettoria di sviluppo del linguaggio del proprio bambino prima che si instauri un disturbo vero e proprio.
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