Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
La malattia di Parkinson è il secondo disordine neurodegenerativo in termini di frequenza, dopo l’Alzheimer, come riporta la Società Italiana di Neurologia. Più frequente negli uomini che nelle donne (60% contro 40%), “Mr. Parkison”, come definito ironicamente da Bruno Lauzi, famoso cantautore italiano scomparso nel 2006 proprio per questa patologia, colpisce circa l’1% della popolazione con più di 60 anni e raggiunge il 4% tra i soggetti oltre gli 85 anni, ma non sono rari i casi in cui la malattia si manifesta anche prima dei 40 anni.
In Italia circa 300mila persone sono affette da malattia di Parkinson o da parkinsonismi, termine con cui si indicano forme analoghe, ma più rare, della patologia. Negli ultimi 20 anni, evidenze scientifiche sempre più solide hanno messo in luce, accanto al trattamento farmacologico, l’importanza della riabilitazione.
Altro elemento fondamentale è la presa in carico interdisciplinare fin dagli esordi della malattia, dove paziente, familiari e tutte le figure professionali coinvolte condividono l’identificazione dei problemi, degli obiettivi e la pianificazione degli interventi in un percorso di cure integrato.
È in questo scenario che si è svolto all’IRCCS "Don Gnocchi di Firenze" il convegno dal titolo “La riabilitazione nel percorso di cure della persona con malattia di Parkison”, a cui hanno preso parte i maggiori esperti nazionali sul tema.
«È stata un’opportunità di scambio e crescita per tutti – commenta Francesca Cecchi, responsabile scientifico dell’iniziativa, con Silvia Ramat e Gemma Lombardi, e responsabile del PROMISE@Lab, laboratorio di ricerca congiunto tra l’Università di Firenze e l’IRCCS "Don Gnocchi" – per costruire una rete tra esperti in tema di innovazione, ricerca e percorsi di cura».
Tre i concetti chiave emersi dalla giornata. Innanzitutto, l’importanza dell’interdisciplinarietà: «Il lavoro in team è fondamentale in riabilitazione – continua Cecchi – ma in questo caso, come hanno sottolineato alcuni colleghi neurologi, è emerso quanto sia necessaria una rete allargata, in strettissima relazione con gli specialisti neurologi e le altre figure sanitarie, come il geriatra e il medico di medicina generale, che seguono questi pazienti. Niente si fa "sui" pazienti, ma "con" loro e i nuovi protocolli di cura devono tener conto del benessere globale e delle priorità del paziente. Non a caso, in questo evento e nelle nostre attività di ricerca, abbiamo fortemente voluto il coinvolgimento dell'Associazione Parkinsoniani».
Il secondo elemento è l’innovazione tecnologica, a partire dai sensori inerziali di movimento per misurare le performance in ambito ecologico; nel corso del convegno sono state presentati anche diversi esempi di utilizzo della robotica, della realtà virtuale e della teleriabilitazione, che già adesso e ancor più nel prossimo futuro, potranno migliorare la qualità della vita dei pazienti con Parkinson.
Terzo caposaldo, i percorsi di cura: la ricerca deve essere traslazionale e si deve concretizzare in protocolli di cura efficaci e sostenibili.
Che la riabilitazione e la formazione continua in questo ambito saranno sempre più necessarie è anche attestato dal fatto che, in relazione all’invecchiamento della popolazione, la malattia assumerà le dimensioni di una vera e propria pandemia, come emerso da numerosi interventi, tra cui quelli di Giuseppe Frazzitta, ideatore del protocollo MIRT, e di Daniele Volpe, direttore medico del Centro Parkinson della Casa di Cura Villa Margherita di Vicenza (nelle foto sotto): «Una riabilitazione intensiva multidisciplinare – ha spiegato – potrebbe modificare il decorso della malattia, ma l’esercizio fisico non basta, è necessario un lavoro congiunto sugli aspetti motori e cognitivi. È inoltre importante un’opera di formazione che coinvolga anche figure non sanitarie, come ad esempio esperti in danza-terapia, essenziali per garantire la continuità assistenziale».
Quale portavoce delle istanze dei pazienti è intervenuta Patrizia Ciolli (foto sotto), coordinatrice della Sezione di Firenze dell’Associazione Italiana Parkinsoniani, a cui afferiscono circa 300 pazienti e che organizza attività di fisioterapia, logopedia e danza terapia. «Al mondo medico chiediamo soprattutto attenzione e ascolto - ha commentato –: i malati di Parkison normalmente vedono il loro neurologo una o due volte l’anno, invece avrebbero bisogno di un contatto più frequente, di non sentirsi soli, anche perché la malattia non è sempre uguale nel tempo. Alle istituzioni invece chiediamo una maggiore semplificazione delle procedure burocratiche e una migliore accessibilità anche per persone con gravi disabilità».
«La Fondazione Don Gnocchi da sempre propone un approccio che mette al centro la persona e non solo la patologia – ha commentato nelle conclusioni il presidente, don Vincenzo Barbante – e questo approccio tiene conto della complessità della persona, della sua ricchezza e del suo progetto di vita. È un approccio dialogico, dove prima di dare risposte, occorre ascoltare i bisogni reali con sensibilità e delicatezza: il grande terapeuta è quello che sa accompagnare e condividere un percorso. Anche la valorizzazione delle tecnologie deve avvenire in un quadro di attenzione alla persona, senza l’ansia di produrre risultati subito, ma in un’ottica di lungo periodo».
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