Approvati e finanziati i nuovi progetti di accompagnamento... (Leggi tutto)
don Vincenzo Barbante
presidente Fondazione Don Gnocchi
Anche quest’anno viviamo il tempo pasquale appesantiti nel cuore da una cronaca segnata da ombre. C’è una specie di oscurità dilagante di cui le guerre non sono che la manifestazione più grave e dolorosa. L’umanità sembra avvitarsi su sé stessa in una spirale segnata da crescenti crisi che, come terremoti, scatenano nuovi drammi. Ciò che sembrava inimmaginabile, accade. Vediamo e sentiamo quello che non avremmo più pensato di vedere e sentire.
Uomini, donne, anziani, bambini, la terra stessa vengono violati, uccisi in questo millennio, mostrandoci gli effetti di una globalizzazione del male dietro alla quale si celano interessi complessi e responsabilità precise, che sanno fare buon uso degli strumenti di manipolazione informativa. Cosa sappiamo veramente di quanto accade e perché in Ucraina o nel Medioriente, dei barconi appena galleggianti tra mille ipocrisie nel mare nostrum, dei confini vergognosamente murati e spinati nel nord America o in Europa? Poco o nulla sappiamo di Haiti, Sudan, Nicaragua, Yemen, Congo, Africa sub sahariana, Myanmar, Ecuador…
Chi ha davvero il coraggio di guardare negli occhi le sfortunate vittime dei pericolanti equilibri mondiali fondati non sul bene comune, ma sulle armi, sulla sete di potere, sugli interessi economici e dare loro una giustificazione accettabile per la loro sorte. Se penso al dramma dell’emigrazione, è incredibile come le vittime vengano trattate da colpevoli. Mettendo da parte il buonismo, è giusto però chiedersi: dove sta la giustizia?
Quello che accade a livello internazionale, si ripropone nell’ambito di tante urgenze che premono nel Paese. Penso alla sanità e all’assistenza socio-sanitaria. Può sembrare retorico, sproporzionato o non opportuno il confronto fra quanto accade nel mondo e questioni come queste. Ma cosa rispondere a 4 milioni di persone che rinunciano a curarsi a causa delle liste d’attesa e dei costi da sostenere o a chi attende prestazioni urgenti (10 milioni di prestazioni urgenti in arretrato)? Cosa rispondere al 90% degli anziani non autosufficienti (oltre 3.500.000) che gravano sulle risorse proprie e delle loro famiglie?
Una bimba nella Casa della Misericordia, che la Fondazione sostiene da alcuni anni in Ucraina
Chi ha la responsabilità di intervenire balbetta risposte incoerenti, detta soluzioni insostenibili e finge di non sapere che mancano le risorse, non solo economiche, ma materiali. Si è promulgata una legge per l’assistenza agli anziani senza chiedersi come finanziarla nel tempo e soprattutto dove trovare il personale. Mancano oggi oltre 40 mila medici e 65 mila infermieri, ma non perché fuggiti chissà dove. Solo una parte è entrata nel comparto della sanità e assistenza privata, profit e non profit, che comunque soffre dello stesso problema. In realtà queste figure professionali non ci sono, punto! Dobbiamo importarle dai Paesi che una volta chiamavamo d’oltremare.
Si sollecitano la prevenzione e la diagnosi precoce delle patologie e poi? Chi va a dire, guardandoli negli occhi, a genitori a cui è stato detto che grazie alla diagnosi precoce il loro figlio ha bisogno di un trattamento di neuropsichiatria infantile, che le liste d’attesa sono di due, tre, cinque anni?
Fra tutto c’è una cosa che proprio non riesco a comprendere. Trovo discutibile che l’approccio a temi legati alla sanità, all’assistenza e “cura” degli anziani o persone con disabilità (la parola cura è fra virgolette perché va intesa in senso ampio, non solo terapeutico-riabilitativa, ma anche con attenzione all’accompagnamento delle famiglie, all’integrazione sociale, lavorativa, al tema dell’abitare…) venga posto all’attenzione mediatica unicamente nella prospettiva della necessità di potenziare o salvare la sanità pubblica. Di fronte alle carenze o alle risposte inadeguate al bisogno di salute, lo Stato è chiamato secondo la Costituzione a “tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e a “garantire cure gratuite agli indigenti” (art. 32).
Ebbene, non sta scritto da nessuna parte che tale tutela debba essere svolta “solo” dalle strutture pubbliche, cioè dello Stato. Può esistere, e per fortuna esiste, anche un altro soggetto che partecipa pienamente al perseguimento di tale scopo che è la sanità privata e in particolare, e più propriamente, quella sanità accreditata/convenzionata, nella quale si individuano, e non mi stancherò mai di ripeterlo, due attori: gli enti non profit e quelli profit. In special modo e soprattutto il mondo degli enti non profit svolge e assolve la propria funzione in termini assolutamente sussidiari a quelli previsti dallo Stato e dalla Costituzione. Questi soggetti, fanno parte del cosiddetto Terzo settore, hanno le più diverse configurazioni, operano in tutti gli ambiti, partecipano allo sviluppo tecnologico e alla ricerca scientifica e reinvestono quanto acquisiscono con l’esercizio della propria attività e la beneficenza ricevuta.
Queste realtà partecipano a pieno titolo e fanno parte di diritto del Servizio sanitario e della programmazione dello Stato. Non vanno considerate come un soggetto di serie B. Forse nessuno dice questo, ma certamente nessuno né del governo, né dell’opposizione, ricorda il ruolo e l’importanza di salvaguardare anche questi protagonisti a servizio della collettività.
Quei posti letto, quei trattamenti, quegli operatori sono tanto preziosi quanto quelli statali. E quando uno di questi soggetti chiude, perché non più in grado di sostenere gli oneri del servizio prestato e non riconosciuto dal sistema per mancanza di adeguamento delle tariffe, o viene acquisito dal mondo profit… beh, il danno è fatto! Un altro colpo all’accessibilità ai servizi sanitari o socio-sanitari di chi non può provvedere a proprie spese alla propria salute. Ci ha rimesso la collettività? Credo proprio di sì. Ma questo nessuno lo dice. Qualcuno dovrà guardare in faccia, negli occhi, prima o poi, gli esclusi.
Se l’obiettivo è il bene comune, lo ripeto, non va solo salvata la sanità pubblica, ma va salvato il Servizio Sanitario Nazionale nel suo complesso. Ancora una volta mi affido alle lucide parole del beato don Carlo: «Il modo più rapido, più economico e più conclusivo per lo Stato di attuare i propri compiti assistenziali è quello di entrare in stretta e fiduciosa collaborazione con l’iniziativa privata. In questa umanissima attività, dove la giustizia e la carità si danno una mano, fin quasi a confondersi, né lo Stato può fare senza l’iniziativa privata, né questa deve fare senza lo Stato». (in “Concretezza”, 15 aprile 1955)
Sono parole di grande sapienza. Governare è un’arte difficile, soprattutto se si vuole davvero perseguire il bene comune servendo. Abbiamo bisogno di segnali nuovi che sappiano tradurre nel presente la sapienza antica. Lasciamo da parte gli slogan roboanti delle campagne elettorali, lasciamo ai santi i miracoli, raccogliamo le energie per lavorare insieme per il bene della collettività. Offrire al mondo un segnale di come abbiamo cercato di perseguire il bene comune attraverso la capacità di collaborare, come si diceva una volta, “con tutti gli uomini di buona volontà”, potrà forse servire per affrontare sullo scenario internazionale sfide certamente più gravi.
(editoriale di Missione Uomo, rivista della Fondazione Don Gnocchi, marzo 2024)
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