Il progetto - attivato al Centro S. Maria ai Colli -... (Leggi tutto)
Per il 3 dicembre, in occasione della “Giornata Internazionale delle persone con disabilità” l’Onu ha scelto per tema “Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid -19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile”.
Ma come riempire di contenuti concreti questo titolo, in un anno in cui le persone con disabilità hanno dovuto subire una pesantissima contrazione di servizi e diritti? Si è detto spesso che il Covid19 ha ricacciato indietro decenni di sforzi per l’inclusione: da dove ripartire, allora? Quali sono le priorità oggi?
Il magazine Vita ha girato la domanda ai responsabili di alcune fra le più importanti realtà italiane impegnate per l’inclusione e i diritti delle persone con disabilità, fra cui il presidente della Fondazione Don Gnocchi, don Vincenzo Barbante.
«Durante la pandemia – è la riflessione di don Vincenzo Barbante - è emersa in maniera vistosa una “approssimazione” del nostro sistema nei confronti della cura della cronicità e in particolare del mondo della disabilità. In altre parole, è mancata una strategia complessiva. Nei confronti di questo mondo c’è la tendenza a un approccio sempre molto emotivo ma poco attento in termini di pianificazione degli interventi e anche nella pandemia la reazione del sistema è stata quella di intervenire per far fronte all’emergenza così che, mancando la pianificazione, il mondo della disabilità è stato sostanzialmente ignorato. Dinanzi alla domanda “come ripartire?” o “quale insegnamento trarre”, da ciò che stiamo vivendo, la cosa più importante è avviare davvero un percorso di sviluppo della cultura della solidarietà».
Secondo il presidente della Fondazione Don Gnocchi, questa cultura della solidarietà riguarda tutti, perché tutti hanno sperimentato nel periodo dell’emergenza la fragilità: «La risposta doveva essere quella di unire le forze e le risorse, per far fronte alla pandemia: se questo manca, è evidente, il prezzo maggiore lo pagano i più deboli. Quindi la prima sfida è passare da un approccio centrato sull’emozione, che si consuma velocemente e che infatti dà come risposte ai bisogni interventi sporadici e occasionali, a una cultura della solidarietà. Se manca cultura della solidarietà, manca la capacità di rispondere ai bisogni delle persone. Al centro invece ci devono essere i bisogni delle persone, in modo particolare, di ogni persona nella sua singolarità: una cultura della solidarietà deve essere attenta a ciascuno».
Quanto alle cose più urgenti da fare oggi, «la prima – secondo don Barbante - è avviare un percorso culturale capace di dare risposte ai bisogni, impiegando in maniera razionale le risorse, che non mancano ma bisogna pianificarle in maniera adeguata. La seconda è di avere il coraggio, anche se ha un costo elevato, di sviluppare una medicina della disabilità. Oggi infatti normalmente nelle nostre strutture sanitarie le persone con disabilità non trovano personale adeguatamente preparato a far fronte ai loro bisogni: una persona con disabilità in ospedale rappresenta una sfida per i sanitari e noi siamo spesso costretti a distaccare personale in ospedale per assisterli».
Un’ultima osservazione il presidente la fa sulla parola “inclusione” «Non rappresenta un concetto adeguato - dice -. La nostra sfida è invece l’integrazione, ovvero una cultura nella quale tutti sono importanti. Le persone con disabilità non sono altro che l’espressione della nostra stessa umanità e manifestano una condizione che è propria di tutti. Ci offrono l’opportunità per fare verità sulla nostra identità, mentre spesso viviamo dimenticandoci quello che siamo, persone fragili».
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