Don Vincenzo Barbante (dal dic. 2016)
Vincenzo Barbante,... (Leggi tutto)
«Sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare a un'opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una cosa sola: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia "carriera"… Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno, perché si tratta di un privilegio».
Dalla drammatica esperienza della guerra, vissuta soprattutto nella tragica ritirata di Russia come cappellano militare, matura la missione a cui don Carlo Gnocchi dedicherà la propria vita, con coerenza e fedeltà: partire dagli ultimi, per riscattare il loro "dolore innocente" e costruire una speranza per il futuro.
È a partire dal 1945 che comincia a prendere forma concreta quel progetto di aiuto ai sofferenti appena abbozzato negli anni della guerra: don Gnocchi viene nominato direttore dell'Istituto Grandi Invalidi di Arosio (Co) e accoglie i primi orfani di guerra e i bambini mutilati. Inizia così l'opera che lo porterà a guadagnare sul campo il titolo più meritorio di "padre dei mutilatini".
Nel 1949 l'Opera ottiene un primo riconoscimento ufficiale: la "Federazione Pro Infanzia Mutilata", da lui fondata l'anno prima per meglio coordinare gli interventi assistenziali nei confronti delle piccole vittime della guerra, viene riconosciuta ufficialmente con decreto del presidente della Repubblica. Nello stesso anno, il Capo del Governo, Alcide De Gasperi, promuove don Carlo consulente della presidenza del Consiglio per il problema dei mutilatini di guerra.
Nel 1951 la Federazione Pro Infanzia Mutilata viene sciolta e tutti i beni e le attività vengono attribuiti al nuovo soggetto giuridico creato da don Gnocchi: la Fondazione Pro Juventute.
Nel 1953 la Fondazione disponeva di sette collegi: cinque per i maschi (Roma, Torino, Parma, Salerno e Inverigo) e due per le bambine mutilate (Pessano e Pozzolatico), per un totale di duemila posti letto.
Vinta la battaglia per i piccoli mutilati di guerra (grazie anche a mobilitazioni di carattere internazionale, tra cui i "Campi dei mutilatini d'Europa"), il complesso assistenziale della Fondazione si orienta verso il problema più pesante che affliggeva l'infanzia sofferente dell'Italia di quegli anni: la poliomielite.
La malattia colpiva allora in Italia una media di tremila fanciulli l’anno.
«Pochi tra questi - avvertiva don Carlo - sono quelli colpiti mortalmente: i fanciulli sotto i dieci anni con esiti di poliomielite sono circa 30 mila; i giovani sotto i vent'anni 60 mila».
Il problema, esaminato nella sua complessità, appariva dunque enorme. Per affrontarlo, occorreva la capacità e l'esperienza di don Carlo e soprattutto quella visione armonica d'insieme che aveva già fatto dell'assistenza ai mutilatini un modello del genere, un incontro tra l'impeto appassionato del sacerdote missionario e la lungimirante avvedutezza organizzativa sua e dei suoi collaboratori.
Centrale, nel pensiero di don Carlo e nell'organizzazione dei collegi della Pro Juventute, era il concetto di riabilitazione.
«Nei collegi - spiegava Don Carlo - è in atto anzitutto il recupero morale e psicologico del fanciullo, attraverso una pedagogia basata prevalentemente sul potenziamento della volontà e arricchita dalle forze soprannaturali messe a disposizione dal Cristianesimo. Terapia dunque dell'anima e del corpo, del lavoro e del gioco, dell'individuo e dell'ambiente: psicoterapia, ergoterapia, fisioterapia, il tutto armonicamente convergente alla rieducazione della personalità vulnerata. Medici, fisioterapisti, maestri, capi d'arte ed educatori, concordemente uniti nella prodigiosa impresa di ricostruire quello che l'uomo o la natura hanno distrutto o almeno, quando questo è impossibile, di compensare con la maggiore validità nei campi inesauribili dello spirito quello che è irreparabilmente perduto nei piani limitati e inferiori della materia».
Nasce così la poderosa organizzazione professionale della Pro Juventute: sorgono e si ingrandiscono le officine, i laboratori per meccanici, radiotecnici, tipografi, tecnici agricoli, cartotecnici, ceramisti, sarti...
L'opera di Don Gnocchi cresce rapidamente: il suo progetto di rieducazione integrale dell'individuo, in un percorso che armonizza la prevenzione con la riabilitazione e pone l'uomo, con le sue potenzialità e le sue peculiarità, al centro del processo terapeutico, costituisce la novità esclusiva e la straordinaria modernità della Pro Juventute, tanto più se si considera che si colloca in anni in cui le discipline riabilitative stavano muovendo i loro primi, timidi passi.
Nel 1955 Don Carlo lancia la sua ultima grande sfida: costruire un moderno Centro che costituisca la sintesi della sua metodologia riabilitativa. Nel settembre dello stesso anno, alla presenza del Capo dello Stato, Giovanni Gronchi, viene posata la prima pietra della nuova struttura, nei pressi dello stadio di San Siro, a Milano.
Struttura che don Gnocchi, già gravemente ammalato, non riuscirà a vedere completata.
La consegna in punto di morte («Amis, ve raccomandi la mia baracca…») diventa per i successori di don Carlo parola d'ordine. Se alla scomparsa del sacerdote (1956), la Fondazione vive un momento di consolidamento e di riflessione, già pochi anni dopo è in grado di decollare verso traguardi futuri.
Dal 1963 la Pro Juventute - che dal '57 era diventata "Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi" - estende la sua presenza sul territorio nazionale con 12 Centri di importanza regionale e altre decine di poliambulatori e Centri minori, allargando lo specchio delle proprie attività riabilitative a ogni forma di handicap, dai motulesi ai neurolesi, ai malformati congeniti, focomelici, distrofici. Si occupa di patologie della colonna vertebrale, dell'apparato osseo, scoliosi, fino alle disabilità più impegnative sul fronte della riabilitazione.
Già pochi anni dopo la morte di don Gnocchi, si può dire che nessuna patologia invalidante che colpisce soggetti di ogni età è esclusa dallo spettro d'intervento della Fondazione, presente in molte regioni con funzioni trainanti per ogni forma di riabilitazione.
La componente scientifica e di ricerca è andata sviluppandosi attraverso convenzioni con le Università, che hanno reso la Fondazione stessa un modello di livello europeo e internazionale di struttura pilota completa e autonoma sul piano della ricerca e delle terapie riabilitative.
Il tutto ha portato, nel 1991, al riconoscimento - segnatamente per il Centro "S. Maria Nascente" di Milano - di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di diritto privato. Nell'agosto del 2000, tale riconoscimento IRCCS è stato esteso anche al Centro "S. Maria agli Ulivi" di Pozzolatico (Fi).
Dagli anni Ottanta la Fondazione ha compreso nella propria azione, con apposita modifica statutaria, l'assistenza alle persone anziane, in prevalenza non autosufficienti (diventando formalmente nel '98 "Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus"), e dagli anni Duemila anche ai malati oncologici in fase terminale e alle persone con gravi cerebrolesioni acquisite o in stato vegetativo prolungato.
Nel nuovo secolo si è particolarmente sviluppata anche la dimensione internazionale delle attività della Fondazione, attestata - oltre che alla partecipazione dell'IRCCS a progetti di ricerca in collaborazione con organismi e Università internazionali e dall'attuazione di progetti del fondo sociale europeo per la formazione professionale e l'inserimento lavorativo dei disabili - soprattutto dal riconoscimento, ottenuto nel marzo del 2001, di Organizzazione Non Governativa (ONG)
Oggi la Fondazione Don Gnocchi conta oltre 5700 operatori. Svolge oggi le proprie attività in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale in 28 Centri e una trentina di ambulatori territoriali - organizzati in presidi, diffusi in 9 Regioni italiane - con oltre 3700 posti letto accreditati ed operativi di degenza piena e day hospital.